« Il karma è una puttana. »

Il film diretto da Adam Wingard non ha bisogno di una vera presentazione: il giovane Light Yagami (occidentalizzato in Light Turner) entra in possesso del maledetto quaderno della morte, arma con cui inizia ad uccidere i criminali per ripulire il mondo dal marcio umano. Potete vedere il trailer nel mio precedente post a riguardo.
Ricordo ancora con rammarico il briciolo di speranze che avevo nutrito per questa pellicola: probabilmente sono stata l’unica persona, senza considerare chi, per il film, ci ha lavorato.
Dirò di più: mi sono sforzata di andare oltre la prima scena che già aveva iniziato a farmi venire il raccapriccio.
Trovarsi di fronte ad un Light impulsivo e attaccabrighe anziché taciturno, riflessivo e calcolatore mi ha sinceramente spiazzato, così come lo sconvolgimento di tutti gli altri personaggi. Ma ho comunque deciso di assecondare il cambiamento, mettendomi nell’ottica di una trasposizione occidentale di un’opera che ha origine da una mentalità orientale. Questo è necessario sottolinearlo: la riflessione che sorge spontanea riguarda l’interpretazione di una stessa situazione calata in un determinato contesto (e cultura) piuttosto che in un altro. Un tassello che poteva essere sinceramente interessante da vedere, ma che si rompe ancor prima di svilupparsi.
Così, Light incarna lo stereotipo del giovane americano allo sbando, pronto a fare sciocchezze per attirare l’attenzione della fidanzata di turno. Non si tratta di giustizia né di eroismo: l’eccitazione e il divertimento di sentirsi potente con e per la propria ragazza la fa da padrone.
Il risultato? Una storia thriller con un potenziale enorme che viene trasformata in uno scadente teen drama dalle pessime e inappropriate canzoni di sottofondo.

Purtroppo non scampa al disastro nemmeno lo shinigami Ryuk, interpretato dal meraviglioso Willem Dafoe, che probabilmente si sarà fatto una sana risata per poter stare allo scherzo in cui, forse per errore, è stato coinvolto. Il continuo mantenere il personaggio in penombra o fuori fuoco, come a non volerlo mostrare davvero al pubblico, ha reso irritante ogni sua apparizione, tanto da farmi preferire la computer grafica del Ryuk dei film orientali.
Per il poco in cui compare, Dafoe rimane il talentuoso attore che tutti conosciamo, riuscendo senza alcuno sforzo a fare il proprio lavoro, con professionalità e impegno.
Ancora una volta siamo di fronte ad un prodotto con una grande capacità ridicolmente sprecata, in cui gli elementi chiave dell’opera giapponese vengono solo accennati e riutilizzati a piacimento del regista senza seguire una logica, smorzando la tensione e arrivando ad annoiare lo spettatore.
Non sono in grado di mettermi con lucidità nei panni di chi l’opera originale non la conosce, sarei quindi curiosa di avere un parere da parte di chi non sa nulla sull’argomento.
La speranza iniziale si è trasformata in amarezza che, per mia fortuna, scivolerà via molto presto.