Recensione: “Visioni macabre di un Dio” di Francesco Zagaglia

Spesso il Male più grande si nasconde nell’oggetto più comune e, apparentemente, insignificante. Un oggetto da mercatino dell’antiquariato spicca tra le stanze polverose di una villa che l’Irlandese, un giorno, si ritrova a visitare.

Un libro nero, in mezzo alle pagine macchiate dal tempo, nasconde il vero significato di follia. La stessa che colpirà lui, l’amico Tom, padre Robert e tutti i malcapitati che avranno a che fare con quel luogo , ancora una volta, solo in apparenza abbandonato.

Avvenimenti belli e brutti capitano sempre nel momento meno opportuno, quando meno ce lo si aspetta e soprattutto quando la testa è altrove, impegnata a scacciare via i sentimenti di una vecchia fiamma o a inseguire il sogno di una carriera che fa paura.

S’insidiano con prepotenza nelle vite degli ignari protagonisti, costringendoli a lasciare perdere tutto per concentrarsi su qualcosa che non è possibile spiegare. Inconsapevolmente, loro diventano burattini di un Male radicato nello spazio e nel tempo, imprigionato in una villa che richiama vita nel nome della morte.

Le loro stesse case diventano le prime nemiche: ombre, cadaveri, rumori e incubi si trasformano in visioni che spingono all’investigazione, nel vano tentativo di capire cosa c’è veramente sotto. Luoghi e personaggi sono ridotti all’essenziale in favore di una vicenda che incalza sempre più capitolo dopo capitolo.

Zagaglia gioca con le menti delle sue creature portandole su un percorso prescritto verso la verità, anche se non quella auspicata. Il macabro si fa strada, prima più lentamente poi con sempre più decisione, con un concatenarsi di avvenimenti che danno il tormento. In alcuni punti, poi, avrei preferito addirittura che venisse calcata ancora di più la mano.

Scoprire l’esito delle ricerche trasforma il lettore in una pedina, ma solo così è possibile arrivare al finale. Magari, con l’occasione, giungendo a conoscere qualcosa di nuovo nascosto in mezzo alle ortiche.

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