Recensione: “La via dei fuochi fatui” di Martina Pasqui KeNoia

Al capezzale della madre, la piccola Aurora incontra la morte e, da quel momento, non sarà più capace di dimenticarla. Un personaggio incappucciato, con la maschera di un caprone e una voce che le trasmette tutto ciò di cui ha bisogno. La ragazza cresce, vive, ma il desiderio di incontrarlo di nuovo permea nella sua mente. Quando inizia a vedere dei fuochi fatui e capisce in che modo potrà posare di nuovo gli occhi su di lui, avrà inizio una storia che, più che essere d’amore, ha il retrogusto amaro della distruzione.

La graphic novel realizzata da Martina Pasqui attrae il lettore in una spirale oscura di tormento e dolore. Il racconto sembra lineare e scontato ma pagina dopo pagina cambia direzione fino a disorientare e a infondere nel pubblico un senso di inquietudine molto fastidioso.

Il cammino intrapreso da Aurora dovrebbe elevare i suoi sentimenti ma finisce per farla precipitare dritta all’inferno. La ragazza compie delle azioni che, in nome dell’amore, la portano a un delirio irrazionale in cui solo lei vede la luce in fondo al tunnel.

Anche quando il panico inizia a dilagare, ha ben chiaro il suo obiettivo: incontrare la morte, con ogni mezzo possibile. Ogni capitolo è ben equilibrato nella sua struttura, gli avvenimenti sono distribuiti in modo tale da non annoiare e l’evoluzione non è per nulla scontata.

Si tratta pur sempre di un’opera prima e se ne comprende gli aspetti più ingenui della storia, accompagnata dai magnetici disegni di Francesca Siviero, a cavallo tra l’occidente e l’oriente. “La via dei fuochi fatui” è un’opera veloce da leggere e in grado di lasciare addosso un fastidio continuo anche dopo la conclusione. O forse, più che essere fastidio, è il tocco della morte che cerca di mettersi in contatto con noi.

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