Recensione: “La promessa di Jerome Faure” di Abel Montero

Londra porta con sé quella tipica sensazione di umidità che si incolla al corpo, fino dentro alle ossa, per poi aggrapparsi disperata al cuore. Clem ha da sempre vissuto così, con una vita tanto difficile e pesante che perfino l’aria più sopportabile di Parigi non riesce in alcun modo a sanare.

L’incontro fortuito con la giovane Irmine e il fratello Jerome sarà al contempo croce e delizia per lui e lo accompagnerà in mezzo ai personali tormenti. Fino a crearne di nuovi, perché nell’abisso è impossibile avere il controllo dell’ambiente circostante né tantomeno di sé stessi.

“La promessa di Jerome Faure” è un romanzo che va assaporato pagina dopo pagina lasciandosi travolgere dalla forza degli avvenimenti. Il flusso sempre più galoppante della narrazione porta il lettore a sentirsi come influenzato dal migliore degli incantesimi, per poi sprofondare sempre di più in qualcosa che di razionale ha davvero ben poco.

C’è qualcosa di maledettamente poetico nello stile di scrittura di Abel Montero, che come una sirena ammalia il lettore e lo spinge a seguirlo anche di fronte all’incertezza. La vita di Clem è solo il traino per avventurarsi in una vicenda oscura, che sfida le leggi della realtà e ci da modo di scorgere l’incomprensibile in un modo originale e sorprendente.

Il fascino della Londra vittoriana si sposa perfettamente con l’atmosfera fantastica che si respira nella Parigi di quegli stessi anni, in un connubio che inquadra senza difetti il 1873 donandogli il tocco personale dell’autore senza sbavature. Quella stessa perfezione che viene sporcata dalle stranezze che iniziano a capitare al protagonista, che si ritrova in balia della sua stessa mente fino al punto di non esserne consapevole.

Da alla testa il vedere comparire nel titolo del romanzo un nome, per poi seguire il punto di vista di una sua conoscenza. Più di tutto, forse anche più degli avvenimenti legati a Clem, si chiede a gran voce: Chi è Jerome Faure? Cosa fa collimare il reale con la finzione? Qual è la promessa? Tutte domande che bramano una risposta e che si schiantano contro i colpi di scena che portano al capitolo finale.

Un maggiore approfondimento dell’aspetto più fantastico della trama non avrebbe guastato. Nonostante ciò, il coinvolgimento è tale da volere entrare letteralmente nel libro e godere della vista relegata solo all’immaginazione. Si rimane così positivamente scottati da Abel Montero che si desidera solo resettare le informazioni e ricominciare tutto da capo.

È un privilegio poter conoscere certe storie e certe persone, in grado di risvegliare l’entusiasmo per la lettura e spronarti a parlarne. Ci si sente grati per l’esperienza (breve o lunga che sia) e colmi di sensazioni che riescono addirittura a essere motivanti. Meglio di così, cosa si potrebbe desiderare?

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