Con i suoi trenta anni sulle spalle, Anna sembra ancora determinata a non voler abbandonare il sogno di diventare insegnante. Ora è una supplenza l’occasione che le si para davanti: grazie al gruppetto di alunni più scapestrato che le potesse capitare, troverà la strada per fare breccia non solo nel loro cuore ma nelle sue stesse emozioni.
Si parla sempre di quanto bisognerebbe essere grati agli insegnanti, che hanno fatto della trasmissione di cultura una vera e propria missione che porta alla formazione delle nuove menti future. Belle parole, sicuramente, fino a quando non si va a indagare nel pratico e si scopre quanto sia difficile mantenersi con questo lavoro, sempre più precario e povero di sbocchi, soprattutto per chi, come la protagonista, si è affacciato a questo settore solo negli ultimi anni.
La voce di Anna riecheggia nella testa con un suono che trasmette tutta la sua determinazione, ma anche una velata dose di ironia che sdrammatizza positivamente la condizione che la rappresenta. Insegna, quindi, a cercare il buono anche quando sembra che di possibilità nel futuro non ce ne siano, un messaggio di speranza che l’autrice veicola in modo eccellente attraverso la sua “O capitano, mio capitano”.
La sua storia scorre incredibilmente fluida, presentando situazioni normali con un tocco unico per renderle speciali e personaggi che si lasciano apprezzare, dal più intollerabile al più adorabile. Le emozioni fuoriescono con naturalezza e ci si ritrova a ridere e gioire, preoccuparsi e riflettere, fino a fare propria una vita su carta che solo in apparenza è ordinaria e si fa ricordare per la sua unica semplicità.
Cristina Frascà apre le porte al mondo dell’insegnamento mostrando la bellezza e la fatica di una mansione tanto complessa ed elevandone ogni aspetto, anche solo partendo dall’essere una “semplice” supplente, facendo in modo che tutti possano rivalutare in meglio le proprie opinioni.