Nel fulcro di gioia, luce e calore che rischiara la genitorialità, capita che possano annidarsi dei sentimenti oscuri, crudeli, disumani.
Yamauba scopre questo e molto altro, nell’abisso di follia in cui cade quando, al suo risveglio, il suo amato bambino è morto tra le sue braccia. Un inganno indicibile, narrato dalla mente diabolica di Akuma e sua madre. Spinto dall’odio, l’uomo architetta ciò che dovrebbe rimanere inesistente, spingendo la sua non più consorte in un barato di dolore che nessuno mai dovrebbe provare.
Incapace di proseguire oltre con la sua vita, Yamauba cerca la morte, come suo figlio cercava assetato il suo seno quando aveva fame. Lei, che non desiderava altro che donare amore, è ora destinata a fare i conti con l’inspiegabile, senza rimanere scalfita dal dolore del fisico, dilaniata però da quello dell’animo. Infine, accoglie quello che lei interpreta come il volere degli Dei: diventare una belva di puro istinto alla ricerca continua del sangue.
È così, quindi, che ha inizio la sua storia.
Prendendo origine dal folklore giapponese, nasce così una storia di dolore che chiama altro dolore, quella della strega Yokai Yamauba, assetata di sangue e carne umana. Nulla, qui, viene edulcorato e addolcito, spingendo il lettore a lasciarsi cadere tra le pagine, nel tormento di questa donna senza pace, in grado solo di provocare morte. Dama della montagna, magnifica e terribile creatura, costretta a cambiare al cambiare del corso della sua vita.
Più si affonda, più si rimane soffocati dall’inspiegabile generato dalla mente umana, che porta con le sue azioni a conseguenze senza ritorno, sia per sé stessa che per tutti coloro che stanno attorno. Ci si sente senza fiato e in preda alla disperazione, vittime dello stesso torto subito da Yamauba, desiderosi anche noi degli stessi cupi desideri che nascono in lei.
Si percepisce il gelo in ogni sua sfaccettatura, congelando ogni speranza di tornare, finalmente, a vedere la luce. In questo buio freddo, però, le emozioni scalpitano con intensità, facendosi strada e amplificando negatività e positività, delineando un’ambientazione curata, così come i personaggi che l’affollano. Emanuela diventa essa stessa parte principale di quel luogo, perché di esso ne conosce ogni anfratto e non teme che gli altri vedano cosa si nasconde sotto alla superficie. Anzi, brama che tutti possano avere il coraggio di saltare nel vuoto, in quel pozzo senza fine che diventa Yamauba.
È impossibile prevedere i risultati interiori a fine lettura: il coraggio sfuma e rimane il timore di scoprire le conseguenze di una simile trasformazione.
“Il vuoto di Yamauba” è distruzione sconfinata, una terra arida dove può prendere vita soltanto la sadica curiosità di chi affronta le parole crudeli stampate sulla pallida carta. Una storia che, nella sua condannata sterilità, arricchisce dentro come poche cose sanno fare.
Cose che non appartengono allo scibile e che scavalcano l’umano senza pietà.