Dopo la morte della madre, Beth Harmon sembra essere destinata a vivere in orfanotrofio per sempre. Ad alleviarle il dolore, però, ci sono due compagni fidati: le pillole verdi e gli scacchi. Beth non riesce a non pensare a una scacchiera su cui disporre i pezzi senza far partire una giocata, un passatempo che potrebbe salvarla dal tunnel buio in cui sta cadendo per portarla a una vita migliore. Ma spesso, purtroppo, ci si sente così tanto fuori da qualsiasi realtà da desiderare soltanto l’oblio.
Divenuto famoso con quel capolavoro di serie tv disponibile su Netflix,
il romanzo di Walter Trevis descrive a regola d’arte una storia che ha
fin da subito un progetto definito e logico, quello di una storia fatta
di dipendenze e mancanze che può ancora avere una speranza di rivalsa.
Il suo stile di scrittura è potente e calamitante, tanto da rendere la
lettura scorrevole ma pregna di significati, che rimangono anche a
lettura conclusa.
Beth è un personaggio con una psicologia complessa ma realistica, che si
comprende e al contempo si critica per le scelte che pian piano fa nella
sua vita. La ragazza subisce un’evoluzione costante che la porta
dall’infanzia all’età adulta, entrando a contatto con il suo contesto
storico culturale e con persone che sapranno cambiarla, in meglio o in
peggio. Si ha sempre la netta sensazione che lei non voglia stare
davvero bene, che si senta inadatta anche ai rapporti umani e che solo
sotto farmaci, solo immaginando davanti a sé una scacchiera, possa
davvero sentirsi felice.
Senza volerlo, però, diventa un simbolo della lotta per la parità e per
l’abbattimento del pregiudizio, un vessillo per le donne in una società
prettamente maschilista. Anche chi non è interessato agli scacchi si
ritroverà catapultato in una vicenda reale e intensa, di cui si vuole
assolutamente sapere ogni più piccolo dettaglio.
L’opera di “La regina degli scacchi” deve essere letta e vissuta al
meglio delle possibilità, sapendo di essa pochi ma essenziali elementi e
pregustando ciò che ancora non si è conosciuto.