Recensione: “Vodka&Inferno” di Penelope Delle Colonne

« Amare è dissolversi nelle parole di un altro. Amare è annientarsi. Amare è non esistere più. Mai. Mai. Mai più.»

La morte; quale eterna, crudele ed inevitabile sorte umana. Eppure, per Frattaglia, tutto questo simboleggia il vero inizio della sua piatta vita. Da quel cadavere trovato nel Canal Grande, sbattuto a merce di scambio su un tavolaccio di mercante; su di lui, quella pelle pallida e nuda ha un potere ipnotizzante, tanto da distoglierlo dalle sue amate marionette di stracci. 

Per quel corpo, si fa picchiare e patisce la fame; tutto, pur di rimanere legato ai suoi lisci capelli neri e a quelle labbra ancora morbide e rosee. Con lui, affronta il viaggio di ritorno a casa: dalla marinara Venezia, alla fredda Soroka del 1893. Nel paesino russo, leggende surreali e rivalità concorrenziali fanno da contorno al funerale della salma muta e gelida; il suo nome risuona tombale nell’aria: Viktor.

Poco importa lo stato di servo in cui si ritroverà, Frattaglia rimarrà al suo capezzale, osservandolo oltre il vetro della teca mortuaria. Fino alla notte in cui scopre che il rosso non è solo la sfumatura dei suoi capelli.

Una lenta discesa all’inferno attende la dinastia Mickalov, martoriata da una maledizione lunga quanto il tempo, finora celata al mondo. Ma il potere fa gola e la vendetta è un piacevole passatempo notturno: servita e gustata lentamente.

Il tutto sotto gli occhi oscuri nascosti dietro il becco adunco di un criptico Dottore della Peste, circondato da misteriose verità d’alchimia e magia.

L’atmosfera del gotico puro danza intensamente tra le pagine di “Vodka&Inferno – La Morte Fidanzata”, primo di una serie di libri di una delle figure più apprezzate e lette degli ultimi anni. Penelope Delle Colonne imbastisce una corposa storia fatta di amore e morte, del loro indissolubile rapporto che porta a tradirsi e sopraffarsi vicendevolmente.

La scrittura delicata ma affilata intrattiene e nutre riga dopo riga, infondendo sentimenti contrastanti tra il susseguirsi di vicende e colpi di scena, fino al prosciugante epilogo. Una storia che va goduta a piccoli sorsi, come la vodka che infiamma la gola, un toccasana raffinato e crudele per la mente di chi legge.

Una storia che, in un certo senso, volge ad una fine tutta sua. Ma di Penelope piace leggerne ogni sospiro, ed ora che finalmente, dopo anni, la sua creatura ha avuto degna pubblicazione non se ne può più, davvero, fare a meno.

Attenzione: “Vodka&Inferno” è un romanzo gotico. Lo è, tanto quanto “Il castello di Otranto”, “Frankenstein” e molte altre storie. Non è un fantasy, né tantomeno urban fantasy. Non troverete l’eroe per cui tifare, né il bello di turno per cui invaghirsi. “Vodka&Inferno” è orrore, dramma, malattia, violenza, sangue che chiama sangue. Non c’è spazio per l’amore vero, se non quello viscerale, ossessivo; rapporti di comodo, di ogni genere, da sfruttare. Se siete anime particolarmente sensibili, potreste rimanere scottati da alcuni contenuti e temi trattati.

Ringrazio la gentile Milena Edizioni per avermi concesso la possibilità di leggere in anteprima questo libro.


Recensione: “La Figlia del Freddo” di Loredana Raciti

« La sostanza di cui sono costruiti gli erranti è il nostro futuro, raggrumato. Sono stati creati da noi, dalle nostre paure del futuro che non conosciamo. Il futuro è il demone comune a tutti, perché ci fa paura. »

In una situazione drammatica in cui l’intera razza umana rischia l’estinzione, sarebbe bello aspettarsi che l’uomo agisca con altruismo, aiutando il prossimo e non solo sé stesso.

Corre l’anno 2030. Mentre tutto lentamente muore a causa del freddo e della semioscurità, gli assetti politici si indeboliscono; fino a sfociare nella terza guerra mondiale. La popolazione tutta ne esce devastata, ferita, e negli anni successivi la mappa geopolitica viene completamente ridisegnata. Ormai in molti si sono arresi a vivere per sopravvivere, solo un gruppo di ribelli lotta per tirare fuori l’umanità dal buio fisico e spirituale in cui si è imprigionata.

Da qui nasce la figura prescelta della Figlia del freddo. Il suo nome è Terra, come il nostro pianeta, una donna forte e dalle incredibili capacità che sacrifica ogni cosa per questa causa. Sarà lei a guidare tutti fuori dalla luce nera, in una nuova realtà prospera e di pace.
“La Figlia del Freddo” è una lettura illuminante, diversa nel suo genere. Non è solo la storia fantascientifica ad intrattenere, ma anche e soprattutto lo spaccato filosofico-spirituale concentrato al suo interno. Vengono, ad esempio, poste domande sulle malattie, sul futuro dell’uomo, il perché è portato ad uccidere e prevaricare sugli altri. Cos’è il mondo spiritico, dove finiremo dopo la morte? Questo, e tanto altro ancora.
Loredana Raciti, senza pretese, dà al lettore interessanti spunti di riflessione, che sì, rallentano il susseguirsi degli eventi, ma che lasciano traccia di sé nei giorni successivi alla lettura. Sta a chi legge coglierne l’interpretazione e il significato profondo. Per questo, non è una lettura che sento di consigliare a tutti a cuor leggero, nemmeno solo a quelli appassionati del genere.
Sicuramente è un testo impegnativo e complesso, ma gratificante. Se siete incuriositi, prendetela come una sfida e immergetevi nella storia senza preconcetti di alcun tipo. La Figlia del Freddo, insieme ad altre figure, vi parlerà tentando di far breccia nel vostro cuore e rendervi coscienziosi di voi stessi e di un mondo che, se sarete in grado, riuscirete un giorno a raggiungere.

Recensione: “Spada” di Alexander Tripood

« Non c’è abilità in te, non c’è talento. Non c’è morale! Non hai le forze per affrontare le conseguenze di ciò che hai fatto. Però riesci ogni volta a cavartela! Ma voglio dirti una cosa: nelle storie, per i personaggi come te non c’è mai un lieto fine! »


Provate ad immaginare come il passato possa influenzare il futuro nella struttura delle città, nelle industrie e nelle mode del momento. Aggiungete, quindi, un tocco fantasy, un pizzico di steampunk e cyberpunk ma soprattutto un eccentrico personaggio di strada.

Come risultato avrete “Spada”, fortunata creazione di Alessandro La Monica (in arte Alexander Tripood) autoprodotta e presentata al Cartoomics 2015 ed ora pubblicata da Shockdom in una nuova veste e con un capitolo inedito.
Ci troviamo ad Anghywir, metropoli futuristica dalle tinte medievali. Qui la vita scorre frenetica ed il progresso è, come ben ipotizzabile, all’ordine del giorno.Watt Weland è un tranquillo ragazzo del borgo di Anghyburg, addetto alla manutenzione di droni-postino per la compagnia Knightzon. In un giorno di consegna si ritrova nel bel mezzo di una rapina, scontrandosi letteralmente con Spada Rodriguez: un apparente barbone trasandato che mette pianta stabile in casa sua. Ma chi è Rodriguez in realtà e cosa si cela dietro la sua assidua ricerca?
La prima cosa che salta all’occhio è sicuramente l’ambientazione della storia, non solo per le sue meccaniche, ma soprattutto per l’impatto visivo. Le tavole di Alexander, disegnate e colorate tutte rigorosamente ad acquerello, introducono il lettore in un mondo tanto affascinante e dall’aria antica quanto in lento degrado. I colori sono accesi e delicati al tempo stesso ed anche se il tratto non dà spazio ad ogni singolo dettaglio, ogni elemento ha la sua specifica caratterizzazione, dal borgo alla città ricca, dai vestiti semplici alle armature robotiche.
Difficile individuare chi tra Watt e Spada sia il personaggio predominante: viene presentato uno, poi l’altro; ognuno con la propria storia e i propri misteri ma entrambi si adattano vicendevolmente, creando un duo divertente e degno dei più famosi eroi dei fumetti.
La trama, infine, è originale e complessa, un prodotto che intrattiene il pubblico e ne stimola la curiosità a sapere come le vicende si svilupperanno nei prossimi capitoli.

Se fin da subito un autore riesce a coinvolgere il pubblico, ha buone possibilità di far parlare di sé e diffondere la propria arte.

Recensione: “Mordraud” di Fabio Scalini

« Giuro sugli Dei, che possano crepare tutti in modo atroce, che io non morirò, né ora né mai. Non posso farlo. E, se anche un nemico riuscisse a ferirmi, allora… mi dimenticherò di dover morire. »

Esistono storie che catturano l’anima. La inglobano in sé e la colmano di emozioni che le rimarranno impresse a lungo. Questo è il caso di “Mordraud”, una saga fantasy composta da quattro libri scritta da Fabio Scalini e pubblicata a partire dal 2012.
Nella mente di chi legge si fa strada un mondo innovativo, ma dai toni classici dei libri fantasy più conosciuti ed apprezzati, fatto di magia e popoli dalle origini differenti. Un mondo solo in apparenza rigoglioso, in realtà drammaticamente devastato. Ma c’è chi nella diversità riscopre i sentimenti, l’unione data dall’amore, i suoi frutti. 
Dunwich, Mordraud e Gwern, uniti dal sangue, divisi da una guerra le cui cause si sono perse nel tempo. Tra morti e passione, vivono i dolori e le gioie del quotidiano, inseguendo i propri desideri e vendette per ricongiungersi alla fine dell’individuale percorso di formazione (Qui il mio commento a caldo, piuttosto disagiato).
Il secondo libro dà una nuova ondata di emozioni, più variegate rispetto all’episodio antecedente, ma assolutamente non da meno. Se prima la trama è, tra gli alti e bassi, lineare e improntata verso un obiettivo preciso, ora la storia si espande e si sofferma tra micro e macro avvenimenti. Tra volti già visti, nuovi incontri e colpi di scena da mozzare il fiato, il lettore affronterà un nuovo viaggio alla ricerca di una misteriosa entità. All’orizzonte, la carcassa di Cambria che brucia, incapace di risorgere dalle proprie ceneri.
Lo scrittore non lascia mai nulla al caso, ogni scelta dei personaggi ha una motivazione solida, gli avvenimenti descritti sono sensati e gli ambienti creati affascinanti. Ogni elemento ha una propria crescita e soprattutto un’evoluzione psicologica che lascia spiazzato il lettore, ma invogliato ancor di più a continuare la lettura. Le strategie di guerra e le scene di battaglia sono descritte in maniera dettagliata e capace, senza complicazioni né confusione. Lo stile di scrittura cattura e mostra ogni scena in modo preciso e scorrevole; è presente qualche piccola sbavatura data da termini poco appropriati e fuori contesto, comunque risolvibili con un servizio di editing esterno. 
La fine del secondo libro lascia una nuova ma familiare sensazione di vuoto, che fa apprezzare maggiormente l’estenuante attesa per il seguito.
Fabio è tutt’ora per me fonte di grande ispirazione e determinazione. Non si è mai perso d’animo di fronte a tutte le difficoltà che ha incontrato in questi anni. Dai rifiuti e le porte sbattute in faccia è riuscito a trovare la forza per credere, ancora di più, nella sua creazione.
Così ha deciso di pubblicare gratuitamente sul suo sito l’ebook del primo libro, per raggiungere quanti più lettori possibile, anche chi a primo impatto non gli avrebbe dato possibilità. Chi l’ha letto non ha potuto fare a meno di apprezzare un’opera tanto valida.
Ha, inoltre, organizzato presentazioni e partecipato a fiere di indubbia importanza (Lucca Comics & Games, Comicon di San Diego), ha avuto consensi all’estero e ha realizzato con successo il progetto di un cortometraggio, girato a San Marino con l’abile ed esperta partecipazione della compagnia Fera Sancti.
Date poco conto ai pregiudizi sulle autopubblicazioni e fatevi conquistare da “Mordraud” (ripeto, l’ebook è gratuito, non avete scuse!) e dal grande talento di Fabio Scalini.

Recensione: “Dov’è Alice?” di Stefania Siano

« Non ce l’avevo con te, ma con il mio coinquilino noioso e musone. Sai anche tu sei noiosetta e musona. Parlate tutti e due di razionalità, ma lo capite che la razionalità uccide la vita e la mente? »


“Dov’è Alice?”

Arianna è tormentata da questa domanda e dai ricordi dell’infanzia andati misteriosamente perduti. Si aggrappa solo a lei, alla sorellina di porcellana che suo padre le costruì anni addietro per farla sentire meno sola.

Alice è speciale, è una bambola vivente: mangia, pensa, ride e piange.

Il loro legame va ben oltre il rapporto giocattolo-padroncina, per questo Arianna è determinata a trovarla, attraversando su un Tartabus Città dei Sogni, in compagnia dei suoi due più cari amici.

Fino a che, un giorno, giunge in città un misterioso circo…

Stefania Siano è riuscita a tessere una deliziosa favola, con qualche rimando al classico di Carroll, che unisce l’innocenza fanciullesca a momenti cupi e tristi, quelli che vorremmo evitare ad ogni bambino, incapace di comprendere davvero ma con in mano le soluzioni più ovvie ai problemi.

Una nota di merito per Paola Siano, che è riuscita a conquistarmi al primo sguardo, con la sua semplice ma attraente copertina (e la meravigliosa illustrazione del Tartabus. Adorabile!). 
Il fascino legato a questa storia, è dato in particolar modo dall’ambientazione creata, un misto tra fantastico e futuristico. Tutto, qui, può accadere, ma la piccola Arianna dimostrerà una forte volontà e coraggio in mezzo alla Discarica dei Ricordi e nella Periferia Dormiveglia, in compagnia della Vecchia Sdentata e all’interno dello Zuccherificio, che chiede come compenso le risate previste durante la vita di un essere umano. 
Personalmente, è proprio questo luogo che mi ha maggiormente colpito; si può riassumere con questo breve dialogo:

“Per questo i clienti di prima erano così tristi?” chiede Leo.

“Sono affezionati” risponde un po’ indignato il negoziante, offeso dalla considerazione.

Il finale è qualcosa di inaspettato; la conferma del talento di una scrittrice al suo debutto che non si è lasciata condizionare da ciò che la circonda: ha permesso che la sua immaginazione scorresse, attraverso le parole, e giungesse ai lettori facendoli tornare bambini.

Infatti, per quanto la storia sia ispirata ad Alice nel Paese delle Meraviglie, non si appoggia totalmente ai riferimenti, anzi: questi vengono disseminati come piccoli fiocchi di neve nel corso della lettura, rafforzando una base di per sé solida e funzionante, senza imporsi troppo né calpestandola.

Questo libro è una storia per tutti, che insegna a non smettere di sognare ed arrendersi totalmente alla realtà.