Recensione: “Il Carnevale a Venezia” di Livin Derevel

« Carnevale era fase di copiosità, di esagerazioni, di iperboli, e nonostante ciò la Morte per lo più si limitava a osservare, a glissare, a passare accanto al letale senza allungare le dita per trascinare le anime nell’Averno, forse perché convinta che non ne valesse la pena, poiché nel Carnevale tutto era concesso e nulla proibito. Nemmeno travalicare i confini. »

Dodici giorni scandiscono il Carnevale, periodo di sfrenatezza, libertà e divertimenti. Protagoniste indiscusse sono le Maschere, figure eteree che appaiono per portare gioia, burle e risate alle persone. Ma il sangue ne macchia le gesta: Beppe Nappa e Gianduja vengono ritrovati inspiegabilmente morti, e la punta della lancia di San Giorgio, quella che scalfì la pelle del drago, misteriosamente scomparsa. 
Ad indagare viene chiamato il Tenente di Gendarmeria Lorenzo, che si mette subito alla ricerca del Re del Carnevale per scongiurare un terzo omicidio. Arlecchino ha tutta l’intenzione di rimanere nell’ombra fino alla fine, interrogare le altre Maschere sembrerebbe apparentemente inutile.
Tra costumi, sfarzo e scherzi, si dipana la trama di un giallo originale e ricco, con un ritmo incredibilmente incalzante e mai sottotono.
Il lettore entra a far parte di un mondo onirico con le lancette del tempo rotte, in cui la realtà non è mai quella che sembra e l’allegria si unisce alla paura, come nel ciclo infinito che lega Vita e Morte.
La scena della comparsa di Arlecchino, e il dialogo che subito ne segue, è la più pregna di emotività e forza. La scrittrice è stata in grado di far scaturire dalle pagine la potenza di un Re immaginario, quasi temuto, da tutti rispettato e conosciuto.
Siamo spettatori di una commedia frizzante, ma è naturale il desiderio di divenire attori e farsi coinvolgere dalle Maschere in una pazza esperienza che può essere in grado di cambiare, addirittura, l’esistenza stessa. Bisogna essere un po’ come Lorenzo e trovare il coraggio di lasciarsi andare, anche nelle più chiare delle farse.
Ringrazio Milena Edizioni per questo meraviglioso libro.
“Il Carnevale a Venezia” è disponibile a questo indirizzo

Recensione: “Vodka&Inferno” di Penelope Delle Colonne

« Amare è dissolversi nelle parole di un altro. Amare è annientarsi. Amare è non esistere più. Mai. Mai. Mai più.»

La morte; quale eterna, crudele ed inevitabile sorte umana. Eppure, per Frattaglia, tutto questo simboleggia il vero inizio della sua piatta vita. Da quel cadavere trovato nel Canal Grande, sbattuto a merce di scambio su un tavolaccio di mercante; su di lui, quella pelle pallida e nuda ha un potere ipnotizzante, tanto da distoglierlo dalle sue amate marionette di stracci. 

Per quel corpo, si fa picchiare e patisce la fame; tutto, pur di rimanere legato ai suoi lisci capelli neri e a quelle labbra ancora morbide e rosee. Con lui, affronta il viaggio di ritorno a casa: dalla marinara Venezia, alla fredda Soroka del 1893. Nel paesino russo, leggende surreali e rivalità concorrenziali fanno da contorno al funerale della salma muta e gelida; il suo nome risuona tombale nell’aria: Viktor.

Poco importa lo stato di servo in cui si ritroverà, Frattaglia rimarrà al suo capezzale, osservandolo oltre il vetro della teca mortuaria. Fino alla notte in cui scopre che il rosso non è solo la sfumatura dei suoi capelli.

Una lenta discesa all’inferno attende la dinastia Mickalov, martoriata da una maledizione lunga quanto il tempo, finora celata al mondo. Ma il potere fa gola e la vendetta è un piacevole passatempo notturno: servita e gustata lentamente.

Il tutto sotto gli occhi oscuri nascosti dietro il becco adunco di un criptico Dottore della Peste, circondato da misteriose verità d’alchimia e magia.

L’atmosfera del gotico puro danza intensamente tra le pagine di “Vodka&Inferno – La Morte Fidanzata”, primo di una serie di libri di una delle figure più apprezzate e lette degli ultimi anni. Penelope Delle Colonne imbastisce una corposa storia fatta di amore e morte, del loro indissolubile rapporto che porta a tradirsi e sopraffarsi vicendevolmente.

La scrittura delicata ma affilata intrattiene e nutre riga dopo riga, infondendo sentimenti contrastanti tra il susseguirsi di vicende e colpi di scena, fino al prosciugante epilogo. Una storia che va goduta a piccoli sorsi, come la vodka che infiamma la gola, un toccasana raffinato e crudele per la mente di chi legge.

Una storia che, in un certo senso, volge ad una fine tutta sua. Ma di Penelope piace leggerne ogni sospiro, ed ora che finalmente, dopo anni, la sua creatura ha avuto degna pubblicazione non se ne può più, davvero, fare a meno.

Attenzione: “Vodka&Inferno” è un romanzo gotico. Lo è, tanto quanto “Il castello di Otranto”, “Frankenstein” e molte altre storie. Non è un fantasy, né tantomeno urban fantasy. Non troverete l’eroe per cui tifare, né il bello di turno per cui invaghirsi. “Vodka&Inferno” è orrore, dramma, malattia, violenza, sangue che chiama sangue. Non c’è spazio per l’amore vero, se non quello viscerale, ossessivo; rapporti di comodo, di ogni genere, da sfruttare. Se siete anime particolarmente sensibili, potreste rimanere scottati da alcuni contenuti e temi trattati.

Ringrazio la gentile Milena Edizioni per avermi concesso la possibilità di leggere in anteprima questo libro.