Cover Reveal: “Death is not the Worst” di Julia Sienna e Helena Cornell
Review Party: Recensione di “Il tatuatore” di Alison Belsham

Solo il lettore, di fatto, può assistere alle turbe di questo Jack lo Squartatore contemporaneo ed è una cosa che apprezzo sempre leggere in un thriller. Ma anche assistere al modus operandi del detective, alle supposizioni ed interpretazioni dei casi, è stata un’esperienza innovativa e che da diverso tempo non mi entusiasmava in questo modo. Complice il fatto di aver accostato i tatuaggi ad una serie di efferatezze assolutamente plausibili.
Review Party: Recensione di “Uno sconosciuto accanto a me” di Marilena Barbagallo
« Non ci sarà oscurità in grado di spezzarti. »

Vana sembrerebbe la sfrontatezza con cui riesce ad affrontare Amir, suo Maestro e aguzzino in quel luogo. Lo provoca, si ribella, ma al tempo stesso vuole apprendere da lui ogni tecnica possibile di sterminio. Per rinfacciargliela, un giorno, quando meno se lo aspetterà.
L’uomo dal canto suo non si lascia certo abbindolare facilmente, abituato alla violenza che ha visto passare davanti agli occhi sin da bambino. Suo unico scopo è svuotarla, farle capire che il dolore è tale solo se riesce a raggiungere il cuore. Tutto il resto, non lo è.
Ma succede che i loro corpi entrano in contatto, senza sfiorarsi, sfidandosi con gli sguardi, danzando in una lotta in cui uno vorrebbe prevalere sull’altro. Una condanna lenta, in cui il dolore vivido torna pulsante a farsi sentire.
Il rapporto tra i due protagonisti è viscerale, potente ed inspiegabile. Sfidarsi continuamente sul piano psicologico dà alla storia un tocco frizzante, che movimenta la narrazione molto più degli amplessi descritti. Un maggiore approfondimento di questo punto, incluso l’allenamento e la trasformazione da essere umano a macchina, avrebbe certamente dato una maggiore valorizzazione al libro. Lena e Amir vengono descritti come forze anteposte, in una continua lotta tra sincerità e menzogna, comprensione e incomprensione, distanza e contatto. La frenesia dei giorni della prigionia fa conoscere ad entrambi dei lati nascosti di sé che normalmente non avrebbero mai potuto tirare fuori. Senza le circostanze adatte, nemmeno il loro incontro sarebbe stato possibile. Ma l’amore o il destino non sono contemplati in “Uno sconosciuto accanto a me”, così come le carezze o la dolcezza. Amir e Lena si sentono e sono deviati, come quel luogo crudele e asettico, ma nel disorientamento riescono a trovare qualcosa che li fa camminare di pari passo, facendo desiderare altro, che va oltre il proiettile sparato contro il nemico.
Lo stile di scrittura di Marilena Barbagallo ha contribuito molto nel tenermi aggrappata alla storia, che altrimenti avrei abbandonato dopo i primi capitoli. In alcuni passaggi l’evoluzione delle vicende è fin troppo ovvia, mentre avrei voluto molto sentirmi sorpresa e maggiormente turbata (proprio come il passato dell’uomo è riuscito a fare). Ci sono un sacco di potenzialità, che però non sono riuscite appieno a soddisfarmi. Avrei preferito assistere ad una maggiore crudeltà e manipolazione psicologica, per esempio, non tanto perché io sia sadica, ma perché mi sarebbe piaciuto molto andare oltre l’inevitabile rapporto di coppia tipico dei Dark Romance. È come se il Settore Zero avesse molto altro da offrire, e spero di poter soddisfare appieno questa mia necessità di vedere altro con il secondo libro. Di certo terrò d’occhio la scrittrice, che spero possa offrirmi di meglio in futuro.
Review Party: Recensione di “Big Bad Bunny” di Samuele Fabbrizzi

Il legame tra Demetria, Fargo, Pedro, Jennifer, Sonia e Damasco è appeso ad un sottile filo invisibile, fatto di follia, scontri, fraintendimenti e tradimenti. Sembrano non avere nulla in comune, ma è come se qualcosa di ignoto li avesse uniti, quel giorno, per spingerli a mettersi in viaggio verso un concerto a cui non giungeranno.
Perché sul loro cammino, con prepotenza, si affaccia Los Monstruos. Luogo di inganni, inquietudine ed orrore, pronto a catturarli e intrappolarli in un incubo di dolore e sangue. Ma questo è necessario: solo questo, per la gratificazione del Grande Coniglio.
“Big Bad Bunny” è un horror intenso che, seppur breve, riesce ad instillare nel lettore una paura viscerale, così come l’inquietudine e il giusto voltastomaco per la descrizione di determinate scene. Non è di certo una lettura per tutti, ma un buon trampolino di lancio per gettarsi in un genere di difficile apprezzamento. La crudeltà trasuda dalle parole scritte da Samuele Fabbrizzi, torturando l’immaginazione fino a far credere di assistere davvero agli accadimenti che sconvolgono le vite dei personaggi. C’è qualcosa di sovrannaturale legato al Marvin Hotel di Los Monstruos che va oltre la comprensione di tutti, sia dei protagonisti sia degli spettatori che impotenti osservano dall’esterno. Andare al di là dell’intelletto terreno significa mettere in discussione qualsiasi principio, fino ad insinuare il dubbio sull’esistenza di un superiore che non dà scampo, che può trasformarti in un burattino cui basta un niente per staccare la testa.
Terrore e mistero si uniscono, perché più del solo timore è l’unione con l’ignoto che manda il sangue al cervello. Conoscere il destino delle vittime diventa quasi una missione di espiazione, per tutte quelle volte che leggendo la preparazione della carne da macello si è distolto lo sguardo dalle parole, per non soffrire ulteriormente.
Mentre le urla continuano a rimbombare.