Visione: “American Gods” di Bryan Fuller e Michael Green

« La cosa migliore, l’unico aspetto positivo dello stare in prigione è il sollievo. Non ti preoccupi più di farti prendere, perché ti hanno già preso. Il domani non può farti nulla che l’oggi non sia ancora riuscito a farti. »

Sono rimasta lontana da tutto. Trailer, immagini di promozione, cast. Quando c’è in ballo la reputazione di uno dei libri che più hanno significato per te, la paura è perfettamente normale.
Ma il giorno è giunto: il 30 Aprile è iniziata la serie tv “American Gods”, adattamento del romanzo di Neil Gaiman, scrittore britannico e mio maestro di vita.

Titolo:
“American Gods”
Genere: Fantasy, Mistery, Drama
Paese: Stati Uniti, Regno Unito
Stagioni: 1
Status: IN CORSO

Il detenuto Shadow Moon ha quasi finito di scontare la pena per cui era in prigione. Finalmente, dopo anni, potrà riabbracciare la moglie. Ma mai avrebbe immaginato di essere rilasciato con qualche giorno d’anticipo per poter partecipare al suo funerale.

Per delle fortuite coincidenze, durante il viaggio l’uomo fa la conoscenza del loquace Mr. Wendnesday, il quale gli propone di lasciare tutto e di lavorare per lui. Una certa sicurezza accompagna la sua proposta, come se fosse a conoscenza della vita di Shadow. In principio desiste, ma il lancio della moneta decide il corso del suo destino. Da quel momento, il mondo come lo conosceva cambierà totalmente.
Non ho potuto fare a meno di emozionarmi durante l’intera ora dell’episodio, non potevo chiedere altro se non ripercorrere le scene che a lungo albergavano nella mia testa e tra le righe del libro. Questa volta, almeno per il momento, non sento di dovermi lamentare per qualcosa, ma posso soltanto godermi la visione di un prodotto che, seppur riadattato, rimane fedele. Secondo le dichiarazioni di Gaiman, la serie tv sarà un’occasione per inserire tutti gli elementi che ai tempi era stato costretto a tagliare dal manoscritto originale, come scene inedite e approfondimenti di personaggi secondari. Non posso fare a meno di essere curiosa.
Gli attori scelti sono ben curati ed interpretano in maniera impeccabile i ruoli a loro affidati.
Come prima impressione posso assicurare che sia assolutamente positiva, attendo con impazienza il 7 maggio per poter proseguire la visione.
Non avete ancora visto il pilot?
Non avete ancora letto il libro?
Diamine, cosa state aspettando?

Visione: “13 Reasons Why” (“Tredici”) di Brian Yorkley

« Mangia qualcosa e mettiti comodo, perché sto per raccontarti la storia della mia vita. Anzi, più esattamente, il motivo per cui è finita. E se tu hai queste cassette, è perché sei uno dei motivi. »



Quando mi vedo costretta a fermare la visione di tutto quanto per potermi dedicare ad una sola ed unica serie tv, è segno che il prodotto abbia un incredibile valore e che sia appena entrato nelle mie classifiche di sempre.

Titolo:
“Tredici” (“13 Reasons Why”)
Genere: Teen Drama, Thriller
Paese: Stati Uniti
Stagioni: 1
Status: COMPLETA

Il fenomeno Netflix del momento, “13 Reasons Why”, è una serie tv di tredici episodi diretta da Brian Yorkley e prodotta dalla cantante e attrice Selena Gomez, tratta dall’omonimo romanzo di Jay Asher.

Quali sono le ragioni che possono portare un adolescente a suicidarsi?
Questa è la storia di Hannah Baker e delle tredici ragioni per cui ha preso la decisione di togliersi la vita. Lei stessa è la voce narrante, l’unica traccia impressa all’interno di file audio su cassette.
Clay Jensen, suo compagno di scuola, inizia ad ascoltarle. Non ha la forza di sentirle tutte insieme e subito. Spesso è costretto a fermarsi e forte è la tentazione di non proseguire. Se lui ha ricevuto le cassette, è perché in parte è responsabile di quella morte. Ma non comprende, non subito almeno, quali elementi possano spingere una persona a compiere un gesto tanto tragico.
Il mistero diventa sempre più fitto, le persone coinvolte fanno di tutto per salvare le apparenze e negare. Perché quella è la verità di Hannah Baker, non la loro.
I suoi genitori non si danno pace e anche per loro inizia una ricerca nell’ignoto.
Ciò che più impressiona è la crudezza con cui sono state girate certe scene. Ma è giusto essere espliciti, per trasmettere il meglio possibile la gravità di determinati gesti da una parte e per prevenire e salvare da azioni avventate dall’altra.

Ogni episodio dura un’ora, ma non risulta pesante, l’attenzione rimane alta dall’inizio alla fine, tanto da farmi diventare impaziente nello scoprire tutte le verità di Hannah.

Le motivazioni che mi spingono a pensare che la visione di questa serie tv nelle scuole possa portare solo a conseguenze positive appaiono chiare soltanto dalla trama della storia.
Eppure, il messaggio di “Tredici” è estremamente preciso: parlare di questi argomenti il più possibile, perché chi subisce violenza o bullismo spesso non ha il coraggio di dirlo apertamente, nemmeno a persone vicine che provano affetto per lei. Questo è causato dall’ambiente in cui un giovane liceale vive, che impone un certo tipo di comportamento che però porta automaticamente a creare stereotipi e pregiudizi.
Nascono quindi situazioni in cui perfino una parola di troppo, o un sorrisetto fatto nel momento sbagliato, pesano come un macigno sull’anima della vittima, rendendo l’artefice del gesto un ignaro responsabile.

Clay, giorno dopo giorno, si rende conto perfino della potenza di una frase non detta. Sente l’istinto di rimediare in qualche modo, iniziando a fare giustizia per conto suo.

Lo scopo della storia non ha nulla a che vedere con la giustizia; da qui il finale aperto, che non porta alla conclusione che chiunque può aspettarsi. Sicuramente le conseguenze ci saranno, così come le magre consolazioni di chi più ha sofferto. Ma il lieto fine non esiste, ciò che viene mostrato è che anche le più piccole cose possono fare male alla gente.

Se non sai cosa sta passando una persona, non giudicare, non fare nulla. Non è un tuo diritto, né di nessun altro.

Specie a fronte delle notizie di cronaca nera degli ultimi mesi, è necessario evitare una cosa che all’apparenza può sembrare innocente e divertente da fare, ma che di fatto distrugge l’identità di una persona, che arriva al punto di non farcela più a continuare in questa vita e la fa finita, spesso, anche qui, tra giudizi indecenti e inappropriati.

“Se l’è cercata” is the new “Me ne lavo le mani”.

Visione: “Grimm” di David Greenwalt e Jim Kouf

« The wolf thought to himself… what a tender young creature. What a nice plump mouthful… »

Il 31 marzo scorso si è conclusa una serie tv che negli anni ho apprezzato molto, ma che forse è rimasta un po’ indifferente agli occhi dei più.
Sto parlando di “Grimm”, serie televisiva statunitense trasmessa su NBC dal 28 ottobre 2011 e composta da sei stagioni. In Italia è attualmente in corso.
Titolo:
“Grimm”
Genere: Dark Fantasy, Poliziesco
Paese: Stati Uniti
Stagioni: 6
Status: COMPLETA



Come è intuibile dal titolo, la storia è ispirata in parte alle celebri favole dei Fratelli Grimm, ma con un tono più oscuro e con una trama di fondo poliziesca.

Il protagonista è Nick Burkhardt, un detective di Portland che scopre di avere una singolare abilità: vedere “il lato oscuro” di chi lo circonda, osservando i volti delle persone cambiare e rivelando la loro reale identità. 
Solo con l’incontro di sua zia Marie, l’uomo scopre un’importante verità alle radici della sua famiglia: egli infatti è un “Grimm”, l’ultimo di un’antica famiglia di cacciatori. 
Le storie narrate dai famosi scrittori non sono finte e addossano su di lui un unico scopo: combattere le creature sovrannaturali “Wesen”: esseri umani il cui lato oscuro assume fattezze animali.
Al suo fianco avrà il collega Hank e l’amico Monroe, un Blutbad con il volto da lupo, che introduce Nick al mondo sotto la superficie.

In generale, la serie ha avuto alti e bassi, sia per quanto riguarda il ritmo degli episodi, sia per la trama orizzontale. Aggiungendosi il fatto che, purtroppo, la serie è apprezzata da tanti, ma non così tanti, ha portato alla decisione di fare un’ultima stagione un po’ più corta rispetto alle precedenti, passando da 22 episodi a 13.

Trovo che l’aspetto investigativo della serie sia stato inserito in modo interessante, ma soprattutto i casi dei primi episodi sono fini a sé stessi, rallentando appunto la narrazione. Nel momento in cui la trama prende piede, i produttori sono stati in grado di creare episodi al cardiopalma, spesso con finali di stagione sconvolgenti e ricchi di cliffhanger.

Pian piano, gli spettatori vengono immersi in un magico mondo oscuro, pieno di creature differenti tra loro, sia come aspetto che caratterialmente. Diventa quasi automatico affezionarsi ai vari personaggi che vengono presentati: dal protagonista ai poliziotti Hank e Wung, ai Wesen, che siano questi buoni o cattivi.

I legami sono inizialmente difficili da creare, ma è bello il messaggio che la serie vuole trasmettere, in chiave fantasy, presentando rancori radicati nel tempo e diversità: le guerre secolari non definiscono le persone nel loro presente, anche se queste sono i vostri predatori e voi le loro prede.

Ho adorato la dolcezza del rapporto tra Monroe e Rosalee (Fuchsbau dalle sembianze di volpe) e forse è questo che più di tutto mi mancherà: i loro sguardi pieni d’amore, ma anche pieni di forza e determinazioni di fronte agli ostacoli, per la scelta controcorrente di sostenere un Grimm. Mi mancherà l’erboristeria della coppia, piena di intrugli e libri esoterici decorati accuratamente, su cui sarebbe bello poter mettere mano.

Mi è piaciuta l’atmosfera buia delle fiabe rivisitate che riesce comunque a fare spazio a scene divertenti ed esilaranti, ma non per questo fuori posto.

Il finale c’è e non mi è dispiaciuto: forse è un po’ affrettato, ma lascia la giusta nostalgia per una serie tv che si è lasciata guardare per sei anni e che mi ha lasciato dentro sensazioni positive.

#OTTER VALENTINE – Day 1 – “Love” di Judd Apatow, Paul Rust, e Lesley Arfin

« Non te lo dice mai nessuno. Nessuno ti prende da parte e ti avvisa: «Ehi, perché tu lo sappia, le relazioni sono una fottuta bugia.». Quindi tu continui a credere a questa maledetta illusione di una storia d’amore che evolve e diventa migliore e… ma perché ci fanno questo? Da dove vengono queste bugie? Sai che ti dico? Io so, lo so, dalle canzoni e dai libri e dai film ovviamente. »

Con oggi siamo ufficialmente entrati nella settimana subito precedente al tanto amato e odiato S. Valentino. Personalmente è una festa che non mi ha mai fatto impazzire, ma nemmeno l’ho mai ripudiata.
Quello che voglio proporre, in quest’occasione, è un articolo al giorno, che tratti di questo tema nelle sue diverse sfaccettature e attraverso diversi strumenti di comunicazione, fino al fatidico 14 Febbraio.
Grazie a chiunque vorrà seguire questo percorso.
Oggi parleremo di serie tv. Come posso non nominare “Love”?
Titolo: 
“Love”
Genere: Comedy
Paese: Stati Uniti
Stagioni: 1
Status: IN CORSO


“Love” è una serie statunitense creata da Judd Apatow, Paul Rust, e Lesley Arfin per la piattaforma Netflix e andata in onda dal 19 Febbraio 2016 per un totale di 10 episodi per la prima stagione. Questa è un’occasione, inoltre, per informarvi che la serie è stata rinnovata per una seconda stagione che verrà trasmessa dal 10 Marzo 2017.

“Love” è un gioiellino di serie tv di cui ingiustamente se ne parla troppo poco.
La storia ruota attorno alle vicende amorose di Mickey Dobbs (interpretata da Gillian Jacobs, conosciuta per il ruolo di Britta Perry in quella geniale serie tv che è “Community”) e Gus Cruikshank (interpretato da Paul Rust, sceneggiatore e attore della stessa). Lei ragazza ribelle e spudorata, lui timido, impacciato e pieno di insicurezze.
Apparentemente troppo diversi, con una vita troppo diversa. Pare impossibile perfino un loro incontro. Ma è proprio in una casuale giornata al supermercato che i loro destini iniziano ad intrecciarsi.
Fin qui tutto chiaro. Fin qui, forse, è una cosa già vista. Ma cosa rende “Love” tanto originale ed adorabile?
Dimenticatevi di tutte quelle romanticherie classiche dei film d’amore e preparatevi ad una commedia divertente, frizzante e soprattutto realistica. 
“Love” mostra quanto sia obbiettivamente complesso trovare l’amore, coltivarlo e portare avanti un rapporto tra due persone nonostante le difficoltà e le diversità. 
Mickey e Gus sono due sbandati, ognuno a modo proprio, ma con fragilità interiori che man mano emergono. L’atteggiamento di uno verso l’altra è in continua evoluzione, in un modo per niente banale e scontato.
Molto più dei conflitti fra i due, sono i conflitti interiori che suscitano l’interesse dello spettatore.
Gus è un insegnante di sostegno per giovani attori ma insoddisfatto, in quanto vorrebbe ardentemente diventare sceneggiatore, senza riuscirci. Un ragazzo ingenuo, ma che fa di questo la sua forza.
Mickey vive un po’ alla giornata, ha un carattere dominante e forte, nonostante ci sia qualcosa nel suo animo che continua a pizzicarla, rendendola in realtà una donna molto più insicura e fragile di quanto si pensi. Troverà il coraggio per tirare tutto fuori?
Entrambi gli attori non solo sono incredibilmente bravi, ma sono soprattutto spontanei e credibili nei panni dei due protagonisti; tanto da riuscire e volerti immedesimare in ognuno di loro. Il ritmo è incalzante anche nei momenti in cui la trama non va avanti. La serie tv non annoia, ma fa rimanere incollati allo schermo fino all’ultima scena.
Non manca l’atmosfera delicata dell’amore, che giunge in punta di piedi, e quel lato tenero e romantico che ti strappa un sorriso appagato e commosso di fronte allo schermo.
Non mi aspettavo di rimanere tanto colpita da una storia d’amore, un progetto nato senza pretese ma che inaspettatamente ti ritrovi a consigliare e volerne ancora e ancora. Da una situazione negativa nasce un appiglio positivo. Nel peggio c’è sempre qualcosa di buono. Gli opposti sono diversi, ma a volte capita che riescano ad attrarsi.

Visione: “Sherlock: The Abominable Bride” – Episodio Speciale


« Dead is the new sexy. »



Ebbene, il giorno è arrivato. Dopo due anni di assenza, Sherlock è tornato ad emozionarci.

Per chi non la conoscesse, “Sherlock” è una serie tv britannica liberamente ispirata ai racconti del celebre Arthur Conan Doyle, creata da Steven Moffat e Mark Gatiss e interpretata da Benedict Cumberbatch (Sherlock Holmes) e Martin Freeman (John Watson).
C’è sempre stata una forte diatriba tra chi ama e chi non apprezza questa serie. Personalmente, faccio parte della prima categoria.
Quello che è andato in onda l’1 gennaio 2016 è un episodio speciale, della durata di 90 minuti, ambientato nella Londra vittoriana del 1895. Per chi seguisse in italiano la serie, non dovrà aspettare molto per questo episodio: il film infatti, grazie a Nexo Digital, verrà trasmesso nei cinema italiani il 12 e il 13 gennaio.

Per l’occasione, la sigla è stata riadattata con una carrellata di immagini d’epoca, in grado di far entrare lo spettatore nell’atmosfera giusta. Alcuni tra i personaggi già noti si trasformano: ed ecco sullo schermo una Molly Hooper travestita da uomo e Mycroft con parecchi chili in più. L’intesa Cumberbatch-Freeman non è calata con il tempo; e anzi, fin da subito, con la scena del primo incontro della coppia, riemergono le emozioni provate in questi anni da chi li ha sostenuti.

La trama principale si intreccia con un delicato quanto importante tema politico dell’epoca: la nascita del movimento delle suffragette e la lotta per l’emancipazione femminile. Emelia Rigoletti è una sposa suicida, apparentemente risorta per uccidere il marito e coloro che non rispettano la figura femminile e i suoi diritti. Watson è convinto che la donna sia davvero un fantasma, ma Sherlock, come prevedibile, è convinto che la spiegazione sia un’altra. Hanno quindi inizio le loro indagini tra ambienti gotici e atmosfere macabre, alla ricerca della verità nascosta dietro quel velo bianco.
L’episodio è assolutamente godibile, ho adorato la resa della Londra vittoriana e i dialoghi sono orchestrati magistralmente. Un altro punto a favore di una delle serie che, nonostante l’estenuante attesa tra una stagione e l’altra, aspetto ogni volta con trepidazione.
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Piccolo paragrafo contenente spoiler.
Ma per l’ennesima volta, e mai impariamo ad aspettarcelo, Moffat e Gatiss si prendono gioco del pubblico.  Se “The abominable bride” era stata presentata come una storia a sé stante, quindi  “fuori continuity” rispetto alla serie, durante la visione ci si ritrova sempre più a fare i conti con degli elementi che non sono totalmente scollegati dagli eventi finora narrati. L’intero caso altro non è che un viaggio dello spettatore all’interno del palazzo mentale di Sherlock, in cui si rifugia, alla fine dell’ultimo episodio della terza stagione, alla ricerca di una spiegazione del possibile ritorno del defunto Jim Moriarty. Per Holmes, la sua nemesi non se n’è mai andata; di sicuro non dalla sua mente, dove si annidando le sue più recondite debolezze. Il loro rapporto è anche più intenso e complesso rispetto a quello instaurato con Watson, un equilibrio e contrasto tra lucidità e follia che, forse, non avrà mai davvero fine. Questo elemento fa da ponte tra la terza e la quarta stagione, che purtroppo non uscirà prima del 2017. Il colpo di scena che fa rimanere di stucco i fans e che rimarca ancora una volta l’apprezzamento per questa serie.
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Non resta quindi che portare ancora una volta pazienza e attendere che il genio di Moffat e Gatiss torni a sorprenderci con una nuova carrellata di episodi.

Personalmente, “Sherlock” è una serie tv apprezzabile da chiunque, senza avere particolare gusto per il genere giallo, in grado di unire serietà a siparietti divertenti (con la presenza di tanto fan service, inutile negarlo). Non c’è nemmeno il timore di non riuscire a mettersi in pari, considerata la cadenza con cui ogni stagione è uscita in sei anni. 
Insomma, non ci sono scusanti: guardate e adorate.