Recensione: “La figlia del predicatore” di Amy Jo Burns

Tratto da una storia vera, “La figlia del predicatore” è il romanzo d’esordio di Amy Jo Burns, che attraverso ambientazione e personaggi vuole parlare di fede, ipocrisia, realismo e pericoli della vita. La catena degli Appalachi fa da sfondo a una vicenda di denuncia dei falsi miti, in cui due donne cercano di emergere in un contesto sfavorevole.

Conosciamo quindi, Wren, la figlia adolescente del predicatore Briar e addestratore di serpenti. Ha vissuto in una famiglia rigida e intransigente, tanto da vivere all’ombra del padre per tutta la sua vita. Un fatto distrugge tutta la fede della ragazza, che ora dovrà trovare dei nuovi punti di riferimento per risollevarsi.

Tra la dinamicità dell’azione, la scrittrice non perde occasione per riflettere sui grandi temi della vita. I concetti, ben espressi, rischiano di rallentare notevolmente il ritmo narrativo, già di per sé non estremamente scorrevole. Questo non è un romanzo facile da digerire, ma è di certo un modo per assimilare nuovi insegnamenti di vita.

Si rimane incantati di fronte a queste riflessioni ma anche ai paesaggi, che in qualche modo toccano l’animo riportando il lettore a uno stato primordiale. Il tutto inseguendo la vita di Wren, che si sente soffocare sotto il peso dei segreti della sua famiglia.

Lo stile di scrittura della Burns è sorprendente evocativo e va a scontrarsi con la realtà che dipinge, fredda, isolata e quasi surreale. “La figlia del predicatore” è, infine, un romanzo complesso ma affascinante, che da importanza alla voce femminile in modo piacevole e incisivo.

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