Se c’è una cosa che Rosa può fare è descrivere come può essere la vita negli anni e nei luoghi della sua infanzia. Lo fa attraverso i suoi stessi occhi, passando tra le vie di Bari che tanto ricorda e osservando i volti di coloro che l’hanno circondata durante la crescita. Uno in particolare assume un significato contraddittorio, quello del padre “faccia d’angelo”, che racchiude in sé qualcosa di oscuro che ha segnato per sempre lei, sua mamma e i suoi fratelli. Rosa diventando adulta crede di aver superato tutto ciò che di male le è capitato in passato, ma è proprio questo passato che torna prepotente, chiedendo un conto che la donna non è pronta ad affrontare.
Entrare nella vita di qualcuno è sempre un gesto che richiede rispetto e silenzio. Ho sempre creduto che quando qualcuno desidera aprirsi è come se donasse agli altri un pezzo di sè, un dono grande e imparagonabile, forse uno dei più preziosi che si possa ricevere.
Rosa Ventrella racconta di sé con uno stile di scrittura che tocca l’animo, provocando sentimenti intensi e contrastanti, proprio come gli eventi che ci si ritrova a vivere tra le pagine del suo romanzo. Si assiste alla vita di una bambina che cresce in un ambiente umile, in cui vige non solo l’amore ma anche il dolore di avere a che fare con una figura genitoriale difficile da gestire. Un ambiente che segna esteriormente e soprattutto interiormente: l’autrice crede quindi di aver imparato il controllo, senza considerare di aver affossato in un angolo pensieri ed emozioni che ora, in un momento preciso della sua vita, riemergono gettando fuori una sofferenza inspiegabile che urla l’incomprensione e l’incapacità di perdonare.
Non è una storia facile da digerire, ma la passione che Ventrella imprime nelle sue parole fa sì che la lettura scorra e coinvolga in un turbinio unico, portando a un finale liberatorio per ogni parte.