Affermo con assoluta certezza e senza alcuna vergogna che il libro di Daria Bignardi, “Oggi faccio azzurro”, mi sia entrato nelle viscere fin dalla prima pagina.
Daria Bignardi esprime con estrema delicatezza e rispetto delle tematiche profonde, che toccano l’animo come un pugno allo stomaco. Lo fa attraverso il personaggio di Galla, lasciata dal marito e ora in cura presso una psicanalista per scampare a quella Voce interiore che la persuade sempre più a buttarsi di sotto.
L’abbandono è qualcosa che colpisce così forte da lasciare senza fiato, prende il corpo e lo scrolla, lasciando la mente in poltiglia. Quando qualcuno sceglie scientemente di prendere e andare via, senza dare una spiegazione, innesca nell’altra persona un meccanismo psicologico devastante, che la porta a incolparsi di tutto anche quando non si ha fatto nulla.
Si passano tutti quelli che la dottoressa Anna Del Fante definisce gli stadi del lutto. Con la differenza che con la morte non si ha scelta alcuna.
Questo tema mi ha preso così tanto il cuore da farmi tornare in mente eventi passati che avrei preferito non ricordare, quando anche io mi colpevolizzavo per qualsiasi cosa, finendo stramazzante a terra, esaurita dalle mie stesse lacrime. Ho avuto poi la fortuna di trovare qualcuno che sapesse aiutarmi a uscire da quel buco nero di disperazione e che mi facesse superare tutto guardando in prospettiva il futuro, facendo scomparire la mia Voce personale.
Uscire dalla depressione non è facile come dirlo, Galla lo sa e, nel suo percorso, ritorna con la mente a eventi passati, a quando ha conosciuto Doug, al loro amore ma soprattutto alle sue personali passioni. Monaco diventa la città salvezza in cui si trova ad approdare, le entra dentro compiendo un viaggio introspettivo verso la rinascita, che prende il nome di Gabriele, come l’arcangelo, nome da donna come è consuetudine in Germania. Pittrice stimata di inizio 1900, la sua figura entra in testa a Galla senza più lasciarla andare, spronandola a continuare a vivere anziché farla finita.
C’è della velata ironia, ma ciò che spicca è l’intensità di questo percorso riabilitante, che scalda e commuove, facendo empatizzare con una facilità sorprendente.