Vern è l’ultimo drago che esiste sulla Terra e i giorni da dominatore del cielo e terrore per le creature terrene sono ormai un ricordo. Dal momento che “fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio”, fa della palude della Lousiana la sua nuova casa, lontano dagli umani, in mezzo a una quiete che potrebbe diventare assordante e fastidiosa.
Ma per il drago più alla moda del momento, che va avanti con vodka e serie tv su Netflix, la pace sta per giungere alla fine: per uno scontro a fuoco finito male, il giovane Everett “Miccetta” scappa per cercare rifugio nella stessa palude di Vern, scontrandosi con lui e diventando sia la sua personale risorsa di alcol che col tempo una gradita compagnia.
C’è poco da rimanere tranquilli, perché all’inseguimento del quindicenne c’è Regence Hooke, il poliziotto corrotto che ha scatenato la sparatoria di cui Everett è un testimone imprevisto.
Il tempo dei draghi sta tornando o forse è meglio continuare a farsi gli affari propri, circondato da dei palliativi per la dolorosa solitudine?
È davvero un peccato che nel 2020 ci sia ancora chi non conosce Eoin Colfer e la sua bibliografia. Certo è che se da un lato ha toppato alla grande, dall’altro dobbiamo ringraziare l’imbarazzante adattamento a film fatto dalla Disney di “Artemis Fowl”, uscito a giugno, perché è così che ora un numero più alto di persone sta cominciando a conoscerlo e ad appezzarlo.
Per quel che mi riguarda, Colfer è un autore che solo leggendone il nome mi fa emozionare e mi fa tornare bambina, a quando la mia insegnante di italiano portò la classe in biblioteca per scegliere la lettura del mese e i miei occhi si posarono istantaneamente sulla copertina oro brillante del primo libro della saga. Con Artemis e Spinella ho stretto un legame di amicizia che è sempre andato oltre le parole scritte sulle pagine e che mi ha portato ad ampliare l’immaginazione e in generale il modo di pensare.
Per questo mi sono buttata a capofitto in “Fiamme nella palude”, certa che l’autore mi avrebbe intrattenuto e colpito. Non c’erano dubbi e così è stato.
Quello di Colfer è un romanzo dall’atmosfera totalmente inaspettata e sorprendente, che ha come scopo non solo quello di far divertire ma soprattutto quello di far riflettere, attraverso un linguaggio sporco e volgare che amplifica il clima dissacrante dell’intera storia. L’autore non lascia scampo e di certo non le manda a dire: non ci sono filtri né censure, solo i fatti nudi e crudi.
Per affrontare la realtà che evolvendo l’ha lasciato indietro, Vern è costretto a passare da fiera creatura che con potenza spaventa chiunque si trovi al di sotto di lui, a ultimo della sua specie timoroso che chiunque e qualsiasi cosa possa tradirlo. Per questo si rintana in un luogo marcio ma da cui tutti stanno alla larga, che soffoca qualunque cosa attorno a sé senza lasciare traccia. Il drago stesso rischia di essere sopraffatto dall’ambiente e cerca di rimanere mentalmente in superficie aggrappandosi all’alcol e a tutto ciò che gli capita a tiro alla televisione. Il risultato è un essere all’avanguardia sulla cultura pop ma totalmente distaccato da tutto il resto.
Everett è un ragazzino cresciuto troppo in fretta, che ha sempre vissuto in un contesto dove la madre si è dovuta spezzare la schiena ogni giorno per guadagnarsi da vivere, costretta a subire dei soprusi e a fare molti sacrifici per il bene suo e del figlio. Sarà proprio la volontà di aiutarla che metterà Miccetta su dei binari nuovi, che lo porteranno a conoscere colui che diventerà indispensabile per il suo benessere.
Quello che si viene a creare gradualmente è un rapporto di reciproca intesa, fatta di ferite da curare, incertezza sul futuro e il desiderio di riscatto in una rotta ancora da tracciare ma su cui poter contare e per cui vale la pena lottare.
Chi conosce l’autore solo per “Artemis Fowl” rimarrà colpito da un cambio piuttosto radicale del registro, ma senza perdere quei capi saldi che lo hanno reso caro in tutti questi anni (non dimentichiamoci che Artemis è un dannato genio del male e non un ragazzino prodigio con una morale e un’integrità inventate appositamente per un pessimo film).
Il libro di Eoin Colfer può essere sicuramente apprezzato da chi ama una scrittura contenente volgarità di sorta e le storie sporche, che descrivono la realtà senza peli sulla lingua, soffermandosi sulle negatività per infierire e portare in superficie una propria personale denuncia. “Fiamme nella palude” è un’opera scorretta e matura, che butta addosso al lettore lo squallore più totale senza chiedere scusa, facendo però nascere qualcosa di buono perfino da un terreno arido e senza speranza.