Recensione: “Storia di Cento Occhi” di Stefano Tevini

«I cavi, una nebbia di vasi capillari di rame rivestiti di gomma, convogliano un intero sistema nervoso periferico fatto di ottiche di precisione e microfoni ambientali in un cordone ombelicale innestato qui, nel mio grembo di acciaio e plexiglass»

Per propria stessa natura, l’uomo va alla costante ricerca del luogo in cui sentirsi più al sicuro. Spesso una casa, ma a volte anche una persona. Più raramente, al di fuori perfino del personale corpo. Un involucro che sta stretto, che fa sentire inadeguati, che spinge a fuggire e trovare rifugio altrove. È così che nasce A.R.G.O., il cui unico scopo è quello di sorvegliare la città e mantenerla sicura e protetta.

Un’entità, la sua, che nasce dall’inadeguatezza di un individuo, pronto a firmare carte su carte, clausole su clausole, pur di arrivare al dunque e procedere con un trattamento che, se ci si pensa, è doloroso e disumano. A.R.G.O. ha ora il controllo di sé, nonché la capacità di moderare la città di Brescia attraverso i sistemi pubblici di sicurezza.

Entra nella vita degli altri, perché nella sua non c’è niente da vedere. Furti, aggressioni, attentati, omicidi sono solo la crosta più evidente di ciò che passa al vaglio della sua attenzione. Fatti che sembrerebbero ispirarlo, oltre che intrattenerlo. Pagina dopo pagina, si passa da un essere sterile a un qualcosa di terribilmente affascinante da scoprire.

Specie quando ci si addentra nella vicenda vera e propria, diventa sempre più complesso distinguere tra ciò che reale e ciò che no, perché anche se in apparenza si pensa di avere il controllo in realtà si è in balia di qualcosa di inspiegabile, perfino a un’intelligenza avanzata come questa.

A.R.G.O. risponde a tutti coloro che, ogni giorno, invocano a gran voce un sistema di sicurezza all’avanguardia, che faccia sentire i cittadini al sicuro e che allontani le minacce arrivando alle maniere forti, se necessario. Risponde a un bisogno, ma facendo le proprie regole, sbattendo in faccia a chiunque quanto possano essere pericolosi certi desideri.

Si parla a vanvera e Stefano Tevini gioca molto su questo. Volere la sicurezza e la giustizia in modo ferreo, letterale, crudele, non sempre porta a far sentire davvero al sicuro. L’autore si comporta un po’ come una fata malvagia, che esaudisce richieste in cambio di un prezzo alto e inaspettato.

Ci viene insegnato che a volte non si ha nemmeno il controllo della propria mente, né della propria fantasia. A.R.G.O. da spettatore diventa sempre più un protagonista attivo, spinto dall’inspiegabile che lo tormenta quasi dolorosamente. Ma nemmeno lui, a quel punto, conosce a prescindere le conseguenze di scelte e azioni.

Digerire la storia racchiusa tra queste pagine è stato tanto complesso quanto veloce lo è stata la lettura. Niente è scontato ma ciò che è certo è il volere scoprire come tutto andrà a finire e credetemi, non ci arriverete mai. L’epilogo lascia un vuoto dentro doloroso, come quel silenzio assordante di cui il protagonista non ha più ricordo e non sa più descrivere.

Ci si sente smarriti, ma al fianco di Tevini si ha la sicurezza di una lettura sorprendente e soddisfacente. “Storia di Cento Occhi” risalta per il suo essere quasi sperimentale, per l’atmosfera distopica e per quel senso di pesantezza che dovrebbe gravare su chiunque.

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