Recensione: “Outcast – Il reietto: Questa piccola luce” di Robert Kirkman e Paul Azaceta

« È il mio tocco… sono io. Non c’è bisogno di versare sangue. La mia presenza… l’acqua… la luce… sono troppo per loro. »

Sembra passato molto meno tempo da quando questa avventura è iniziata; eppure, con il settimo albo, “Outcast” questo mese compie il suo primo anno in Italia. A cerchio completo e per l’inizio di un nuovo ciclo di storie, è giunto il momento di fare qualche bilancio. Le premesse, di cui ho discusso dopo la lettura del primo volume, sono andate a consolidare quel punto di partenza intrigante e misterioso che si è snodato e aggrovigliato in sé ancor di più nei numeri successivi. 
Il viaggio insieme a Kyle Barnes ci ha portato a scoprire i segreti più reconditi del suo passato; drammi che l’hanno reso così: un uomo incatenato alle proprie paure, ma con un forte desiderio di ribalta e determinazione nel rivolere indietro la propria vita. Ad affiancarlo in questo, l’insostituibile Reverendo Anderson, figura forse più criptica del protagonista, quello che più fra tutti probabilmente è costretto a mettere in discussione sé stesso e quello in cui ha creduto fino a quel momento. Il rapporto fra i due è di totale compensazione: nonostante i dissapori, quando uno inizierà a perdere di vista l’obiettivo, l’altro troverà sempre il modo di farlo tornare sui propri passi, e viceversa. Il mistero s’infittisce maggiormente con l’arrivo in scena di Sidney, l’uomo in nero di cui al momento ancora si sa troppo poco.
Ma in qualunque direzione Kyle si volti, il Male è sempre pronto ad inseguirlo nell’ombra e negli occhi di chi lo conosce. Lui è la chiave, fonte d’odio e strumento di potere del nemico. Contro le tenebre, quale migliore alleato se non la luce?
La storia nel complesso è ipnotica, una volta immersi in un albo gli occhi scorrono tra le tavole, incapaci di staccarsi fino alla chiusura dell’episodio. “Outcast” è in grado di stregare il lettore e di portarlo sempre più nell’orrore di cui si circonda. L’unico difetto è la grandezza degli albi e la cadenza di pubblicazione (dovuto puramente a scelte editoriali, quindi non direttamente riconducibile alla storia in sé) che, a mio parere, non fanno assaporare appieno la storia; spesso, infatti, mi è capitato di dover rileggere gli ultimi passaggi del numero precedente prima di passare all’ultima uscita. Piuttosto intuibile è un messaggio velato: “Outcast” piace e non ne abbiamo ancora abbastanza.
Di altrettanto e promettente successo è la serie tv, in onda dal 03 giugno, che a tre mesi dal suo debutto ha già conquistato il rinnovo per una seconda stagione. Ci auguriamo che il successo di questa incredibile opera sia soltanto all’inizio. 

Recensione: “Eternal War: Gli eserciti dei Santi” di Livio Gambarini

« Fu come essere trascinati giù da un precipizio: ruzzolò fuori, sul selciato delle lande dello Spirito. Alzò gli occhi su Guido e raggelò. La seconda anima, quella più determinata, aveva il torso girato verso di lui. Minuscoli occhi si erano aperti su tutta la sua forma, come nodi sul tronco di un albero. Lo fissavano. »



Quando si ha a che fare con un libro storico, lo scrittore ha il dovere di “informarsi per informare” nella lettura chi acquista la sua opera. Livio Gambarini, giovane scrittore emergente, ha tutte le carte in regola per farsi strada nel mondo dell’editoria e il suo libro historic fantasy, “Eternal War: Gli eserciti dei Santi”, ne è la palese prova. Un romanzo autoconclusivo, ma che apre la strada ad una trilogia interessante e promettente.

Con una scrittura d’impatto e coinvolgente, Livio ci conduce indietro nel tempo, durante le guerre tra Guelfi e Ghibellini nella Toscana del Tredicesimo secolo. Le fazioni sono schierate ed impegnate nelle loro sfide terrene: a scuola abbiamo appreso come sia andata. 
Ma quella narrata non è altro che una guerra di copertura: la vera battaglia non è nella Materia, bensì nello Spirito, dove gli Ancestrarchi si affrontano e decidono le sorti dei casati agendo sulle anime dei Patres Familiae viventi.
Kabal, sfrontato guerriero d’altri tempi, è la guida della famiglia Cavalcanti. Quando Cavalcante muore, dovrà fare i conti con il discendente Guido, un giovane con propensione verso la poesia, avente in sé due anime contrastanti fra loro che non si piegheranno docilmente alla volontà dello spirito. Oltre al complesso compito, Kabal dovrà fare i conti con Chiaranima, guida degli Uberti, per tentare il più possibile di mantenere in piedi la sottile pace instaurata.
“Eternal War” è senza dubbio un libro innovativo e complesso. La dualità di cui si compone non appesantisce la scorrevolezza della storia: anzi, ne è il punto forte. Se il mondo terreno ha un tono più lineare anche perché vincolato dalla veridicità storica, il mondo spiritico mostra maggiormente il talento e la fantasia dello scrittore; la descrizione degli ambienti e la caratterizzazione dei personaggi rendono il tutto verosimile. Ho apprezzato molto il ruolo di Kabal e non ho potuto fare a meno di sorridere con l’entrata in scena di un giovane ed impacciato Dante Alighieri.
Guerra e magia si compensano a vicenda e l’immaginario si accosta alla realtà in maniera sorprendentemente intrigante ed originale. Ogni lettore appassionato del genere dovrebbe dare una possibilità a questa storia.
Il prossimo passo sarà recuperare il resto della bibliografia di questo scrittore, per apprendere e confrontarmi con la storia in un modo diverso dal consueto.

Recensione: “Tenebre e ghiaccio” di Leigh Bardugo

« Il problema del volere qualcosa è che diventiamo deboli. »


Il regno di Ravka è spaccato a metà da oltre un secolo di guerre; la Distesa delle Tenebre, impenetrabile nube popolata da mostri, rappresenta un ostacolo invalicabile, impossibile da superare se non grazie ai soldati e ai Grisha, prestigiosi maghi al servizio del Re.

 

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Recensione: “Vodka&Inferno” di Penelope Delle Colonne

« Amare è dissolversi nelle parole di un altro. Amare è annientarsi. Amare è non esistere più. Mai. Mai. Mai più.»

La morte; quale eterna, crudele ed inevitabile sorte umana. Eppure, per Frattaglia, tutto questo simboleggia il vero inizio della sua piatta vita. Da quel cadavere trovato nel Canal Grande, sbattuto a merce di scambio su un tavolaccio di mercante; su di lui, quella pelle pallida e nuda ha un potere ipnotizzante, tanto da distoglierlo dalle sue amate marionette di stracci. 

Per quel corpo, si fa picchiare e patisce la fame; tutto, pur di rimanere legato ai suoi lisci capelli neri e a quelle labbra ancora morbide e rosee. Con lui, affronta il viaggio di ritorno a casa: dalla marinara Venezia, alla fredda Soroka del 1893. Nel paesino russo, leggende surreali e rivalità concorrenziali fanno da contorno al funerale della salma muta e gelida; il suo nome risuona tombale nell’aria: Viktor.

Poco importa lo stato di servo in cui si ritroverà, Frattaglia rimarrà al suo capezzale, osservandolo oltre il vetro della teca mortuaria. Fino alla notte in cui scopre che il rosso non è solo la sfumatura dei suoi capelli.

Una lenta discesa all’inferno attende la dinastia Mickalov, martoriata da una maledizione lunga quanto il tempo, finora celata al mondo. Ma il potere fa gola e la vendetta è un piacevole passatempo notturno: servita e gustata lentamente.

Il tutto sotto gli occhi oscuri nascosti dietro il becco adunco di un criptico Dottore della Peste, circondato da misteriose verità d’alchimia e magia.

L’atmosfera del gotico puro danza intensamente tra le pagine di “Vodka&Inferno – La Morte Fidanzata”, primo di una serie di libri di una delle figure più apprezzate e lette degli ultimi anni. Penelope Delle Colonne imbastisce una corposa storia fatta di amore e morte, del loro indissolubile rapporto che porta a tradirsi e sopraffarsi vicendevolmente.

La scrittura delicata ma affilata intrattiene e nutre riga dopo riga, infondendo sentimenti contrastanti tra il susseguirsi di vicende e colpi di scena, fino al prosciugante epilogo. Una storia che va goduta a piccoli sorsi, come la vodka che infiamma la gola, un toccasana raffinato e crudele per la mente di chi legge.

Una storia che, in un certo senso, volge ad una fine tutta sua. Ma di Penelope piace leggerne ogni sospiro, ed ora che finalmente, dopo anni, la sua creatura ha avuto degna pubblicazione non se ne può più, davvero, fare a meno.

Attenzione: “Vodka&Inferno” è un romanzo gotico. Lo è, tanto quanto “Il castello di Otranto”, “Frankenstein” e molte altre storie. Non è un fantasy, né tantomeno urban fantasy. Non troverete l’eroe per cui tifare, né il bello di turno per cui invaghirsi. “Vodka&Inferno” è orrore, dramma, malattia, violenza, sangue che chiama sangue. Non c’è spazio per l’amore vero, se non quello viscerale, ossessivo; rapporti di comodo, di ogni genere, da sfruttare. Se siete anime particolarmente sensibili, potreste rimanere scottati da alcuni contenuti e temi trattati.

Ringrazio la gentile Milena Edizioni per avermi concesso la possibilità di leggere in anteprima questo libro.


Recensione: “La Figlia del Freddo” di Loredana Raciti

« La sostanza di cui sono costruiti gli erranti è il nostro futuro, raggrumato. Sono stati creati da noi, dalle nostre paure del futuro che non conosciamo. Il futuro è il demone comune a tutti, perché ci fa paura. »

In una situazione drammatica in cui l’intera razza umana rischia l’estinzione, sarebbe bello aspettarsi che l’uomo agisca con altruismo, aiutando il prossimo e non solo sé stesso.

Corre l’anno 2030. Mentre tutto lentamente muore a causa del freddo e della semioscurità, gli assetti politici si indeboliscono; fino a sfociare nella terza guerra mondiale. La popolazione tutta ne esce devastata, ferita, e negli anni successivi la mappa geopolitica viene completamente ridisegnata. Ormai in molti si sono arresi a vivere per sopravvivere, solo un gruppo di ribelli lotta per tirare fuori l’umanità dal buio fisico e spirituale in cui si è imprigionata.

Da qui nasce la figura prescelta della Figlia del freddo. Il suo nome è Terra, come il nostro pianeta, una donna forte e dalle incredibili capacità che sacrifica ogni cosa per questa causa. Sarà lei a guidare tutti fuori dalla luce nera, in una nuova realtà prospera e di pace.
“La Figlia del Freddo” è una lettura illuminante, diversa nel suo genere. Non è solo la storia fantascientifica ad intrattenere, ma anche e soprattutto lo spaccato filosofico-spirituale concentrato al suo interno. Vengono, ad esempio, poste domande sulle malattie, sul futuro dell’uomo, il perché è portato ad uccidere e prevaricare sugli altri. Cos’è il mondo spiritico, dove finiremo dopo la morte? Questo, e tanto altro ancora.
Loredana Raciti, senza pretese, dà al lettore interessanti spunti di riflessione, che sì, rallentano il susseguirsi degli eventi, ma che lasciano traccia di sé nei giorni successivi alla lettura. Sta a chi legge coglierne l’interpretazione e il significato profondo. Per questo, non è una lettura che sento di consigliare a tutti a cuor leggero, nemmeno solo a quelli appassionati del genere.
Sicuramente è un testo impegnativo e complesso, ma gratificante. Se siete incuriositi, prendetela come una sfida e immergetevi nella storia senza preconcetti di alcun tipo. La Figlia del Freddo, insieme ad altre figure, vi parlerà tentando di far breccia nel vostro cuore e rendervi coscienziosi di voi stessi e di un mondo che, se sarete in grado, riuscirete un giorno a raggiungere.