« Tutto bene?, chiese l’uomo. Il bambino annuì. Poi si incamminarono sull’asfalto in una luce di piombo, strusciando i piedi nella cenere, l’uno il mondo intero dell’altro. »
Il mondo è vittima dell’umanità, l’umanità è causa del suo male. Ora non c’è più vita, l’uomo è costretto a sopravvivere in mezzo alle macerie, a difendersi dai suoi simili. “Homo homini lupus”, “Mors tua, vita mea”.
Ecco cos’è l’apocalisse: lo specchio di un animale portato all’egoismo, alla crudeltà e alla ritrosia. Per avere salva la pelle non si può vendere l’anima o rinchiuderla in un quadro, ma combattere e vincere la selezione naturale nella speranza che passato l’inferno si ristabilisca un nuovo equilibrio.
L’uomo e il bambino sono alla ricerca di questo equilibrio. Padre e figlio sono in cammino sulla strada verso un luogo dove il sole possa ancora scaldarli. Unici compagni: un carrello, una pistola, delle coperte e quel poco di cibo che riescono a trovare lungo il percorso. In fuga dalle bande di predoni che ormai di umano hanno ben poco, il padre racconta al figlio la propria vita, rievocando la madre morta diversi anni prima. Lo porta nella sua casa d’infanzia, visitano un supermercato in cui il bambino assaggia alimenti a lui tanto sconosciuti. Spesso devono nascondersi, devono combattere contro il freddo e le malattie. Ma rimangono sempre insieme, uniti dall’amore che provano l’uno per l’altro; “portano il fuoco” verso una meta senza nome, come loro, su una strada altrettanto anonima e interminabile, fino all’inaspettato epilogo.
Cormac McCarthy riduce tutto all’osso, come è giusto che sia: i dialoghi minimi, nemmeno scanditi dalla punteggiatura, le descrizioni lunghe racchiuse in frasi molto brevi. Come se anche la scrittura fosse stata danneggiata dalla catastrofe. L’insieme apparentemente povero rende preziosa questa storia semplice e ricca di emozioni.
Individuare ciò che è valido per un vero post-apocalittico è difficile, specie in un’opera dove un reale combattimento non è presente. Ma qui la lotta è lo svegliarsi ogni mattina e avere la forza di alzarsi e proseguire il viaggio; la fortuna di gustarsi un torso di mela e godere anche solo di una goccia d’acqua; la forza di non diventare come tutti gli altri che rinunciano alla ragione e si trasformano in altro. La lotta è quella fatta insieme, resistendo e sostenendosi a vicenda, con l’obiettivo comune di percorrere la strada e arrivare ad un traguardo.
Bellissima recensione. Qui il nemico, l'antagonista, è il sistema stesso o meglio: ciò che ne rimane, e che si riversa malamente nei superstiti.
Io l'ho trovato come la descrizione di una delle più commoventi trasmissioni d'amore di un padre per suo figlio.