Dopo un anno, Simone Tempia torna ospite della tana per parlarci del suo nuovo libro “Una nuova vita con Lloyd” in uscita nella giornata corrente.
Buongiorno Simone e bentornato nella tana della lontra, è un piacere averti di nuovo qui.
Abbiamo parlato, l’anno scorso, di quanto siano di vitale importanza le favole, in grado di raggiungere sia i piccoli che i grandi lettori. Su queste pagine digitali, però, non abbiamo ancora avuto modo di approfondire la figura di Lloyd, il maggiordomo immaginario che ha avviato il tuo percorso di scrittura. Ci parli un po’ di lui, per chi lo stesse conoscendo oggi con l’uscita di questo nuovo libro?
Lloyd è un maggiordomo immaginario con cui condivido le giornate. Con lui cerco di tenere in ordine la mia vita che, come accade spesso, finisce in balia del disordine più frenetico. E lui ci riesce a darmi una mano. A suo modo. Ma ci riesce. Se vi chiedete perché è immaginario, beh, è perché non posso permettermene uno vero.
“Una nuova vita con Lloyd” ha come costante il cambiamento, che ha origine da piccole ma significative crepe. Si ha la percezione del tempo che passa e di quanto questa evoluzione si sia sviluppata gradualmente. Si tratta quindi di un progetto sedimentato da tempo e nel tempo o piuttosto deriva da un’ispirazione che ti ha portato a scrivere di getto?
Una Nuova Vita con Lloyd nasce da una duplice spinta centrifuga: da un lato la mia (ri)scoperta di uomo in veste di padre, con tutte le incertezze del caso. Dall’altra i due anni passati che si sono portati via tutte le nostre sicurezze. Io abito in provincia di Bergamo e, credetemi, il 2019 è stato traumatizzante. Inimmaginabile.
Il libro contiene la ricostruzione mentale ed emotiva degli ambienti che compongono una casa. Ogni stanza è caratterizzata da due punti ben precisi: la descrizione di come dovrebbero essere i luoghi e l’accompagnamento costante ai dialoghi con Lloyd. Con quale logica sono stati disposti i suoi interventi? C’è una logica o è l’ordine mentale con cui sono stati pensati e scritti?
Certamente. L’ingresso e il salone sono dialoghi di assestamento. La cucina è il rapporto con gli altri. La sala da bagno è il rapporto con se stessi. La camera da letto sono i dolori e le difficoltà che si fa fatica a raccontarsi. Il giardino è la speranza, la rinascita, il ritorno alla bellezza.
Tante sono le crepe che squarciano una singola persona. Capita, però, che queste crepe vengano condivise con il resto della società, a causa di eventi che fanno così tanto rumore da unire le masse con il loro essere distruttivi. È più importante, in ogni caso, correre ai ripari prima che le crepe diventino più grandi o forse a volte per cambiare è giusto che le spaccature facciano il proprio corso?
I cedimenti sono improvvisi ma quasi mai inattesi. Se si conosce la struttura si sa quali sono le sue fragilità. A volte un crollo non è che l’occasione per ricostruirsi con nuove solidità. E inedite debolezze.
Da scrittore a lettrice: come mai non compare un intermezzo fatto di libri?
Perché la libreria è qualcosa di così intimo e privato che non avrei potuto inserirla senza il rischio di renderla stucchevole. O poco universale.
In questi anni hai dimostrato attraverso le tue parole di essere una persona in grado d’ispirare, di scrivere ed esprimere concetti che sono estremamente motivazionali per il pubblico. Ti ci rivedi in questo, nella figura di motivatore?
MAI. E mai lo vorrò essere. Né diventare. Io sono uno scrittore. Tutto il resto lo lascio a chi ha fame di fedeli e seguaci. A me basta solo che i miei libri (non io) arrivino ai lettori e possano lasciare a loro qualcosa da ricordare.
Una domanda che ti porrò a ogni occasione: mentre i lettori si godono la pubblicazione del momento, quali lavori s’intravedono all’orizzonte?
Un giallo. E poi della voce. E poi chi lo sa? Forse un progetto così difficile che non so se lo porterò mai a termine.
È meglio essere un maggiordomo o un sir?
Meglio essere. Che di questi tempi già non è poco.