Per comprendere il romanzo di Julia Sabina, “Vite in attesa”, potrebbe semplicemente bastare soffermarsi un attimo in più sul titolo: è qui che si posa con chiarezza il significato della storia di Maribel, una ragazza piena di sogni e aspettative che desidera soltanto realizzarsi e raggiungere i propri obiettivi.
Ma la vita purtroppo è più ardua di quanto si possa pensare quando si è bambini e solo quando ci si ritrova nell’uragano degli adulti si arriva a capire che non è tutto rose e fiori e che spesso il quotidiano ti lascia fermo, statico. Solo, in attesa.
La fissità di una situazione, che colpisce sempre di più i giovani, coloro che sono appena entrati in un mondo di responsabilità e doveri, porta col tempo a uno stato di frustrazione che può avere gravi effetti su una persona, senza che questa se ne renda conto.
Non posso non inserirmi in questa categoria, esattamente come i personaggi di questo romanzo, che sotto una crosta di apparente positività e profonde illusioni nascondono sacrifici e disorientamento. Da bambini ti insegnano che puoi far fruttare talenti e diventare chiunque tu voglia, senza prendere in considerazione che chi è adulto ha la tendenza a tenere per sé ciò che gli appartiene, senza lasciare spazio a chi le opportunità non le ha ancora ottenute.
Ci viene chiesto di studiare, diplomarci, laurearci e poi prendere un master. Poi però è richiesta un’esperienza che è impossibile avere se si è passato il tempo sui libri per ottenere le prove di quella qualificazione tanto desiderata. Allora pur di guadagnare qualcosa si disintegrano i sogni in favore dello stipendio, nonostante si viva in bilico tra uno stage e un rinnovo ogni tre mesi.
Poi, se sei donna e hai quasi trenta anni, gli adulti trovano lecito chiedere se si è intenzionati a fare figli. Peggio, se li hai e sono piccoli, nessuno si prende il rischio di lasciarti il posto di lavoro, perché possono esserci “incombenze” che allontanano dalle proprie mansioni.
“C’è tempo”, ti dicono. Poi però vieni trattato come se fosse già troppo tardi per tutto, per iniziare a fare esperienza perché dovresti già averla da almeno due anni, per decidere cosa si vuole fare perché il mondo va talmente tanto veloce che non da possibilità a chi la strada non l’ha già spianata di fronte a sé.
Mamma e papà dicono spesso: “Quando sarai grande capirai”, in realtà a 27 anni ancora è difficile capirci davvero qualcosa. Sei costretto a non soffermarti su ciò che può farti felice, perché ci sono solo doveri da assolvere, come le spese di ogni giorno o l’affitto da pagare. Ah sì, perché senza uno stipendio decente o un lavoro in importanti aziende, le banche non concedono mutui. Piuttosto ipotecano le case dei tuoi famigliari, perché dare fiducia a chi vuole costruirsi una vita indipendente non se ne parla.
Intanto rimani con la vita in attesa. In attesa di qualcosa che diventa sempre più sfocato perfino nel tuo cuore. Sarà che per me il 2021 è iniziato con le peggiori delle intenzioni (incredibile dirlo, peggio del 2020), ma non posso fare altro che mettermi nei panni di Maribel e desiderare di poterla abbracciare. Le direi, con un nodo alla gola, che comprendo ogni singolo sentimento, perché i suoi sono anche i miei.
Essere giovani è bello e una grande fortuna. Ma, a volte, fa davvero schifo.