Blog Tour: “Frank-Ly in love” di David Yoon – Le tradizioni coreane

Quella della Corea è una cultura tanto affascinante quanto particolare e a tratti controversa, soprattutto per chi ne vive una totalmente differente.

Per i coreani, ad esempio, l’istruzione è qualcosa di assolutamente fondamentale: non importa che le scuole a qualsiasi livello costino, le famiglie sono disposte a indebitarsi pur di permettere ai figli di poter studiare negli istituti di maggiore prestigio. Per questo il fallimento non è contemplato e la competizione tra gli studenti è altissima. Questa è solo la punta dell’iceberg.

Frank, pur abitando in California, percepisce molto il peso della cultura coreana, che per quanto non sente sua lo è per i suoi genitori: per loro è Harvard l’obiettivo e non ottenere il massimo dei punteggi fa scaturire in loro un senso di disagio nei confronti del figlio.

Nonostante questo clima non motivi molto l’aspetto sociale, il ragazzo è costretto a partecipare ai cosiddetti Raduni, serate in cui le famiglie coreane immigrate in America si trovano per cenare e avere dei momenti di goliardia in cui i genitori possono mostrare i propri “emblemi”, i successi che i figli hanno avuto fino a quel momento. Avvengono una sera al mese, al di fuori di questi non ci sono interazioni.

I coreani sono molto conservatori e, purtroppo, non vedono di buon occhio chi è diverso da loro, perfino chi è emigrato in un altro paese: basti pensare alla sorella di Frank, Hanna, che si è allontanata definitivamente dalla famiglia perché i genitori non condividevano la relazione con un ragazzo di colore o al migliore amico, Q, con cui loro hanno un rapporto pressoché inesistente.

Sarà dura per Frank trovare una ragazza che soddisfi i parametri di “mamma-e-papà”, soprattutto quando lui è il primo a voler ampliare i propri orizzonti e a volersi integrare nella cultura del paese in cui si trova. Vivere all’estero permette a società così rigide come quella della Corea di levarsi di dosso tanti pregiudizi e limiti mentali che fanno vedere solo il negativo, anziché tutto ciò che di buono questo paese ha. Ampliare la mente e vedere cosa c’è fuori dal proprio nucleo può contribuire a diventare migliori e a dare ad altri validi insegnamenti.

Review Party: Recensione di “Arsenico e tazze di tè. L’arguzia di Miss Marple” di Agatha Christie

Miss Marple è uno dei personaggi più iconici creati dalla mente geniale di Agatha Christie. Proprio come se ci trovassimo di fronte a una stella del settore, “Arsenico e tazze di tè” è un saggio che si propone di offrire ai fan uno scorcio particolare e diverso dal solito sulla vita dell’investigatrice: tra un evento cardine della sua vita e l’altro vengono anche citati i più celebri momenti che vedono la donna protagonista rendendo la sua figura ancora più epica.

Si tratta di una lettura breve ma spassosa e incredibilmente interessante, che fa rivivere ai lettori dei romanzi della Christie gli eventi più importanti che hanno segnato la carriera della sua Miss Marple. Quello dell’autrice è stato uno studio  accurato, che fin dall’origine dava un background definito al personaggio, arricchendolo sempre più nei vari romanzi scritti. In Miss Marple è possibile vedere i tratti della Christie, come se un pezzo di lei si fosse trasferito permanentemente su carta.

Molto carini sono gli aneddoti a lei dedicati, un modo alternativo per conoscere Agatha Christie e completandone il profilo stesso.

“Arsenico e tazze di tè. L’arguzia di Miss Marple” è una piccola perla che ogni fan della serie di gialli dovrebbe recuperare, per avventurarsi ancora una volta in maniera innovativa nella fantasia di una delle autrici di genere più importanti e apprezzate.

Review Party: Recensione di “Doppia identità” di Brian Freeman

Giornata in piena regola per il Detective Jonathan Stride, quando si trova a dover indagare parallelamente su due casi di cronaca nera che macchiano la cittadina di Duluth. Da un lato il sangue di un uomo misterioso e sconosciuto è stato versato in quello che sembrerebbe solo in apparenza un incidente stradale, dall’altro l’improvvisa scomparsa della stagista Haley sconvolge il set cinematografico che sta mettendo in scena uno dei casi cardine di Stride. È qui che la ricerca ha inizio, tra indizi che infittiscono sempre più le vicende anziché sbrogliarle, in una lotta contro il tempo faccia a faccia con qualcuno che conosce molto bene le sue mosse.

“Doppia identità” è il nuovo thriller realizzato da Brian Freeman, che ancora una volta costruisce un inedito tassello che va a comporre la carriera lavorativa di Jonathan Stride. L’autore sa bene come tormentare il proprio personaggio e qui lo fa costringendolo a un lavoro introspettivo per anticipare le proprie stesse mosse, che sembrano costantemente sotto controllo di qualcun altro. Alla ricerca dell’identità del colpevole, l’uomo deve fare i conti anche con le identità del mondo dello spettacolo, individui che mostrano solo ciò che vogliono mostrare nascondendo abilmente le loro vere intenzioni. Non si può recriminare nulla a Freeman: è uno scrittore ormai esperto, il cui stile di scrittura è solido, maturo e sa trasmettere le giuste emozioni: le sue storie hanno dei punti fermi che fanno apprezzare ogni volta la lettura. Nonostante siano passati tanti anni e tanti libri, l’autore non sembra ancora averne abbastanza e a ogni nuova indagine solidifica maggiormente ciò che aveva scritto in precedenza, dando nuovi spunti per trame future. Jonathan Stroud si trova ancora una volta a correre mentalmente verso la soluzione dei casi e il lettore corre insieme a lui, scorrendo freneticamente gli occhi tra le pagine, col cuore palpitante e la mente colma di ragionamenti e sospetti, che solo alla fine scoprirà se fondati o meno. Freeman ancora una volta sorprende con una storia dai risvolti imprevedibili che tengono legati a sé il proprio pubblico che non si stanca mai della sua narrazione e che a ogni pubblicazione è pronto, con le mani tremanti, a cominciarne la lettura.

Blog Tour: “Il ragazzo che amava il cinema” di Pere Cervantes – Cinque motivi per leggere il romanzo

“Il ragazzo che amava il cinema” è un libro capitato inaspettatamente tra le mie letture, così altrettanto inaspettato è stato l’interesse che ha suscitato in me.

Si possono individuare almeno cinque motivi principali che possono spingere a cominciare la storia di Nil, il primo fra tutti è lo stile narrativo di Pere Cervantes. Avviene in un lampo: dalla prima parola scritta scaturisce un incredibile trasporto che cala il lettore in un’atmosfera calda e fredda al tempo stesso, data dall’amore di una madre per il figlio e tutti i sacrifici che sono nascosti dietro al desiderio di non vedere mai scomparire il sorriso dal suo volto. Cervantes scrive con fluidità una storia complessa e carica di emozioni, che dai personaggi si trasmette al lettore, che si sente sempre più coinvolto dalla vicenda che si presenta davanti.

Ho sempre trovato nell’ambientazione spagnola dei romanzi un tocco di calore e spensieratezza unico. Mi ha veramente sorpreso il fatto che a questo viene accostato un clima totalmente opposto, cupo e a tratti drammatico, che però non delude ma da un punto di vista insolito delle vie di Barcellona. L’autore ha avuto molta cura di questo aspetto, rispettando la struttura reale della città e dando l’impressione di essere davvero lì, nel punto che in quel preciso momento sta descrivendo. A questo si associa un contesto storico e sociale ben definito, che parte dagli anni 40, subito dopo la guerra civile che ha sconvolto lo stato, un evento che si è abbattuto senza pietà sulle vite di chiunque fosse lì in quel periodo e che per rialzarsi ha dovuto ulteriormente combattere contro lo sconforto e il dolore.

Nil è solo un bambino quando tutto questo capita e vede negli occhi della madre tutti gli sforzi che è costretta a fare ogni giorno. È un protagonista sorprendente, con una forza d’animo invidiabile nell’affrontare ciò che il suo creatore gli ha riservato. La caratteristica più interessante, come si evince dal titolo, è la sua passione per i film, che si trasforma nel quadro generale in un tributo al mondo della cinematografia e uno spunto culturale per esperti e non.

Con “Il ragazzo che amava il cinema” vi ritroverete catapultati in una storia che vi avvolgerà totalmente grazie al mix di generi letterari racchiusi in essa: non si tratta solo di un romanzo storico, ma anche di una storia pregna delle tinte del thriller, che regala emozioni forti date dalla suspence e dall’introspezione nei sentimenti provati dai personaggi, che si aprono al lettore parlando da un’epoca piuttosto lontana ma che si riflette perfettamente nella realtà contemporanea.

Review Party: Recensione di “Notte Selvaggia” di Jim Thompson

Carl Bigelow giunge nella cittadina di Peardale e subito ne intuisce il clima, pregno dello squallore più assoluto. È il suo passato da assassino che l’ha condotto qui, sotto il soldo dell’Uomo, un luogo che non lo lascia più andare e in cui rimane invischiato. Niente è come sembra e fidarsi delle persone è qualcosa di impossibile, un qualcosa che inizia a tormentarlo facendo vacillare le certezze sul giusto schieramento da prendere.

“Notte selvaggia” è uno dei tanti noir scritti da Jim Thompson in cui il lettore si avventura attraverso la mente del protagonista, una mente più complessa delle apparenze e che col tempo viene srotolata come un foglio in cui ogni pezzo s’incastra lentamente al proprio posto. Carl è un uomo dal passato oscuro e difficile da digerire, la sua infanzia l’ha plasmato e fatto diventare l’uomo che è ora, pieno di forza all’esterno ma ferito da innumerevoli cicatrici all’interno. Trovo quasi divertente il suo profilo, a tratti ingenuo, che rende ancora più bizzarro il fatto che sia un sicario, uno tra i più crudeli mai ricordati: è un contrasto particolare che da brio alla narrazione, incuriosendo su come il protagonista affronterà gli avvenimenti. Questo libro non ha come caratteristica principale l’azione, al contrario di altri scritti di Thompson, ma il susseguirsi ossessivo dei ragionamenti dell’uomo, che da lucidi si fanno sempre più emotivi fino a cadere in una spirale marcia, che si riflette sull’ambiente circostante. Non è una tematica nuova, ma ogni opera è a sé così come ogni uomo o donna analizzati dallo scrittore. “Notte selvaggia” è quindi un romanzo ben congegnato, in cui il conflitto interiore mantiene in costante tensione il lettore, che giunge alla fine colpito e soddisfatto da ciò che ha appena affrontato.