Mancano 25 giorni a Natale e 31 alla fine di questo anno disastroso. I fiocchi di neve sono già nell’aria, gli addobbi pronti in casa e si comincia a parlare di ciò che si mangerà durante le feste. Ma non è mai troppo tardi per parlare di autunno e se c’è una cosa che alla saga di Fairy Oak è sempre riuscita bene è proprio questo: trasmettere la meraviglia di una stagione tanto speciale.
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Review Party: Recensione di “Il maialino di Natale” di J. K. Rowling
Ogni bambino ha il suo migliore amico morbido e dalle più disparate forme. Mimalino è sempre stato al fianco del piccolo Jack, aiutandolo nei momenti più bui e gioendo insieme dei bei momenti quotidiani. Quando però il peluche scompare, sarà compito del suo padroncino attraversare la Terra dei Perduti per riportarlo a casa. Al suo fianco, colui che mai avrebbe voluto: il Maialino di Natale, Nat, con cui dovrà costruire in fretta un’intesa per la buona riuscita della missione.
Continue readingRecensione: “Tutto il bene, tutto il male” di Carola Carulli
Se c’è una cosa con cui Sveva ha dovuto fare i conti fin da subito è l’assenza dei suoi genitori. In un padre, così come in una madre, si ricerca conforto, approvazione, stima. Amore. Semplicemente, amore. Ma sotto quel tetto famigliare, tra incomprensioni di coppia e ambizioni egoistiche, non c’è spazio per il dialogo e il sorriso non è nemmeno impresso nei ricordi.
Scappando da sogni non suoi, Sveva trova la felicità nell’abbraccio della zia Alma, con cui sboccia quella sintonia speciale da far impallidire chiunque al loro passaggio. Nipote, zia, donne. Nelle loro complicità non esiste solo la gioia, ma anche tutti quei piccoli sbagli che le hanno rese tali e da cui, reciprocamente, possono imparare e migliorarsi.
Continue readingRecensione: “Come delfini tra pescecani” di François Morlupi
Un nuovo inizio fa capolino splendente in quella che apparentemente dovrebbe essere una giornata come le altre.
Non per il Signor Gordi, che ha invece preferito farsi illuminare dal mattino con il corpo a penzoloni e un cappio attorno al collo. Se n’è andato solo, come la vita che stava trascorrendo da tempo, intervallata soltanto dalle consuete faccende domestiche della signora Vivian Abellana. Lei, che stava solo quantificando il tempo che la separava dal rivedere suo figlio, si trova a dover accogliere nel suo quotidiano e in quello di tutti i compaesani una tragedia inaspettata, bruciante, inspiegabile. La prima visibile di una lunga serie.
Monteverde non è pronta, troppo abituata al torpore monotono ma carico di certezze, come dentro a una bolla dove i fatti negativi sì avvengono ma con un certo metodo e raziocinio. Le emozioni, soprattutto quelle negative, non vanno risvegliate mai. Lo sa molto bene il commissario Biagio Maria Ansaldi, che da che ne ha memoria deve tenere a bada i pensieri per non farsi mordere dall’ansia. Lo sanno bene anche i suoi colleghi di lavoro, tutti alle prese con i propri personali demoni. Insieme, tutti loro, compongono i Cinque di Monteverde, gli unici individui che possono fare chiarezza nelle situazioni più buie.
Anche se questo vorrebbe dire andare contro a un sistema che nasconde il marcio sotto a una crosta inquietante di illusione e perbenismo.
Di storie macchiate con sangue e menzogne se ne sentono tante, sia attraverso uno schermo duro e insensibile, riflesso della realtà, sia attraverso le rassicuranti parole color inchiostro scritte su un foglio bianco e puro. Portano con sé l’odore dell’ingiustizia e lo straziante urlo della sofferenza, un’unione che va a comporre una spirale discendente di compromessi, sotterfugi, fraintendimenti e rimpianti. Spesso chi deve portare tutto alla luce è anche chi vorrebbe rimanere esterno a tutto, estraneo perfino nel suo stesso ambiente di vita, nonostante il proprio ruolo sia l’unico che s’incastra in mezzo al vuoto che si crea tra una domanda e una risposta.
Ansaldi sa di fare un lavoro in cui la competenza più grande è la risoluzione di un disagio, quello provato dalla cittadina che è costretta ad avere a che fare con l’ombra della morte. Posizione ingrata, soprattutto quando il bene comune non viene raggiunto, facendo dilagare un malcontento che sussurra odio e tormenta la notte. Lui ha fin troppo a che fare con tutto questo e scoprirne il passato diventa terribilmente affascinante, soprattutto in relazione con il suo presente e con le interazioni che ha con chi lo circonda. In un romanzo come questo in cui le indagini la fanno da padrone, diventano indiscutibili protagonisti i sentimenti, che svelano in modo originale e innovativo il significato profondo dell’essere, semplicemente, umani.
François Morlupi delinea tutto questo attraverso una scrittura che sprigiona energia a ogni pagina, intrigando fin dalle prime descrizioni e facendo totalmente entrare lo spettatore in sintonia con tutti i punti di vista di cui si ritrova a vestire i panni. Gli ambienti appaiono come una cartolina sempre più lucida, così come le vite di ogni personaggio che colpiscono nel profondo fino a far innamorare. Si parla di buoni e cattivi, ma questa distinzione ha poca importanza, soprattutto quando si è messi di fronte a motivazioni solide che spingerebbero chiunque ad agire com’è stato fatto. Ha davvero importanza etichettare le persone, soprattutto quando possono cambiare pelle rendendo insensati questi termini di sorta?
Un insegnamento crudo, racchiuso nel romanzo “Come delfini tra pescecani”, visibile fin da queste parole, messe una in fila all’altra tra le virgolette che ne determinano il titolo, fino a essere più nitido e incisivo una volta che il lettore avrà deciso di giungere, con una buona dose di coraggio, alla fine inevitabile.
Recensione: “Io non ti lascio solo” di Gianluca Antoni
Quali segreti oscuri può nascondere il diario di un bambino?
Si pensa sempre che i racconti messi per iscritto possano narrare avventure tra fantasia e realtà, mostrando così aspetti di una persona sorprendenti e positivi, che solo grazie ai suoi intimi pensieri possono emergere e mostrarsi davvero.
Ma ciò che il maresciallo Giuseppe De Benedittis trova nei diari dei giovani Filo e Rullo, porta in superficie un passato tremendo e inquietante, affossato dal peso del tempo, che ha cercato di soffocare con tutte le proprie forze ciò che non doveva tornare alla luce. Eppure le cicatrici sono rimaste, anche dopo venti anni, segni indelebili di un dolore che non può essere cancellato.
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