Recensione: “MADRE” di Andrea Cavaletto e Simona Simone

« Anche se non la vedevi, ti sentivi la crisi addosso… ben nascosta in mezzo alla retorica e alla propaganda di regime… e con l’industria che offriva un ventre ormai gravido di disoccupazione. »

Umberto Soletti Editore inaugura la collana Underground con il nuovo fumetto creato da un artista ormai tra i più apprezzati su queste pagine di blogging: Andrea Cavaletto, che qui veste i panni di “solo” sceneggiatore lasciando il ruolo di disegnatore a Simona Simone.
“MADRE” prende vita tra le abili ed esperte mani di Simona, immergendo il lettore, con semplici ma inconfondibili tratti, nella Milano degli anni 30. La seconda guerra mondiale è alle porte, in Italia si respira la pesantezza di una crisi che è solo un inizio, in confronto a tutto ciò che, drammaticamente e inevitabilmente, avverrà di lì a poco, una volta che Mussolini avrà firmato l’alleanza con Hitler.
L’apparente ma inquietante e fasulla calma lascia spazio alla figura di Adelaide, la Madre. Avvolta e protetta dal suo soprabito, si fa strada tra le vie e i passanti della città, intenta a tornare in quella che una volta chiamava casa, sorreggendo con le mani il ventre gonfio di una nuova vita. Adelaide si sente osservata, e per questo impaurita e perseguitata. Senza indugio si barrica dentro le sue quattro mura sapendo che i vicini, attorno a lei, la vedono e la giudicano. Solo uno è il suo scopo: proteggere il proprio figlio da chiunque voglia fargli del male.

Lo spettatore ignora i motivi di tali comportamenti, sia dall’una che dall’altra parte. Eppure, nella sua mente si fa strada un unico pensiero, che nasce spontaneo quando ci si trova immersi in una storia di Cavaletto: l’orrore puro sta per arrivare.

Perché quella che potrebbe sembrare soltanto una storia volta a testimonianza e denuncia della situazione di una donna, calata in un contesto storico e sociale maschilista e d’inferiorità, con tutte le difficoltà che ne derivano, come l’affrontare i pregiudizi per una figura femminile sola e in più incinta, nasconde in realtà un plot twist inaspettato e decisamente scioccante. Il risvolto si distacca dal mondo fisico per accogliere la fantasia, fatta di concetti disturbanti che razionalmente definiremmo sbagliati, ma che nel surreale prevalgono come sensati, tanto da offrire una spiegazione su come la storia dell’Italia, quella vera, è evoluta.

Una delle situazioni più lampanti in cui questi concetti prendono vita sulla retina del lettore, ma che ancora non sfocia nell’inverosimile e quindi risultando ancora più moralmente ingiusta, è la scena del rientro a casa. Simona Simone riesce in modo eccellente ad accostare l’attimo di erotismo dato dalla donna mentre si spoglia, mostrando senza pudore le forme nascoste fino al momento prima sotto i vestiti, accendendo ancora di più le pulsioni attraverso gli ansimi emessi nel farlo, ma che subito dopo si rivelano essere respiri mozzati, di affaticamento per i movimenti e il peso del corpo, piuttosto che dei suoni legati alla sfera sessuale.

Andrea Cavaletto ha la capacità magistrale di mettere a nudo l’animo dei suoi lettori attraverso le azioni dei personaggi creati, rivelando a loro stessi parti di sé che altrimenti non scoprirebbero o riterrebbero inaccettabili, ma che nelle sue opere possono palesarsi senza il timore dei giudizi esterni.

L’erotismo poi sfuma, e dalla nube afrodisiaca si passa all’orrido. Non è un mistero che all’artista piaccia il gore e lo splatter e “Madre” si rivela una conferma di quanto questo aspetto sia potente nelle sue storie, fino al punto di dare una logica al tutto piuttosto che sfociare nel no-sense e nel bizzarro divertente.

L’orrore impatta inaspettato scombussolando la percezione del lettore, in un crescendo che arriva al suo climax nel finale, allucinato e sconvolgente, ma che dà risalto alla figura di una donna forte oltre ogni limite e determinata ad appropriarsi della propria indipendenza, in netto contrasto, di nuovo, con il contesto in cui vive e deve fare i conti.

In mezzo a tutto questo c’è spazio anche per l’amore, quello tra una madre e un figlio, che li connette indissolubilmente ancora prima di potersi toccare o vedere. Adelaide non dimentica di essere innanzitutto una persona, una donna, ma è consapevole delle responsabilità e dei sacrifici dell’essere una Madre e non viene meno a questo “importante compito”, come la società vuole definirlo. Solo, vuole seguire la propria strada e avere la possibilità di gestire la situazione a suo modo piuttosto che per un’imposizione. Vuole avere una scelta e lotta per ottenerla.

Ritengo che “Madre” sia un ottimo punto di partenza per poter conoscere Andrea Cavaletto, che in storie come “Paranoid Boyd” ha saputo spingere ancora di più su molti di questi elementi. Ma per apprezzare un artista come lui bisogna imparare ad accoglierlo come si deve, respingendo pregiudizi o moralità che andrebbero ad intaccare un’interessante e gradevole (per i motivi sbagliati) lettura.

Recensione: “Paranoid Boyd – Disneycide” di Andrea Cavaletto

« Il solo mondo da salvare sono io. »

Ingannato, maltrattato, deriso, umiliato, confuso. Avevamo lasciato così, William Boyd, alle prese con i tormenti che l’hanno accompagnato fin dalla tragedia dell’11 Settembre. Comprendere cosa è vero e cosa no è diventata una sfida quotidiana, arricchita dalla prigionia e dalle perversioni dei propri aguzzini. Di fronte ai soprusi e al ricatto, Will non può fare altro che cedere. Perde, fino a perdere se stesso. Perdendosi, non sa più ritrovare la sua identità.
Sembra quasi impossibile, ora, essere giunti ad una conclusione. Che fine potrebbe avere una storia come la sua?
In mezzo a tavole oniriche e oscene, ci perdiamo anche noi che leggiamo, finendo in un delirio psicologico di cui è difficile comprendere se si è solo degli spettatori oppure vittime silenti.
Per conoscere William non bisogna forse prima conoscere sé stessi?
Negli albi precedenti, horror, splatter e frenesia si amalgamano tra loro in un quadro complesso, di cui serve tempo per comprenderne il significato e che si ha la possibilità di osservare a lungo, soffermandosi su ogni dettaglio. “Disneycide”, corre contro quel tempo, velocizzando tutto, facendo scorrere compulsivamente gli occhi tra un interrogativo e un altro, tra una visione e l’altra e lanciando addosso pezzi dell’enigma in maniera apparentemente casuale. Solo in conclusione, tutto si fa chiaro: l’atmosfera nauseante si trasforma, diventando una luce brillante, metafora del lume della ragione. Indietro è rimasta la scia di cadaveri e di chi non avrebbe compreso. Di fronte, la verità: la maledizione peggiore per chi sopravvive.
Riflettendoci, non poteva esserci davvero un finale migliore di quello ideato. Non c’è modo di scommettere o di fare congetture, perché quanto accade alla fine è talmente originale e imprevedibile da scalzare qualsiasi ipotesi.
Tre anni, sette volumi, dodici disegnatori e Andrea Cavaletto. Una fatica necessaria, una combinazione vincente, un prodotto che è stato molto apprezzato e che lascia il vuoto nel cuore di chi ha seguito tutto il percorso. Lo si evince soprattutto dalle parole commosse del creatore di Paranoid Boyd che, come era capitato con l’introduzione al volume 0, è riuscito di nuovo a colpirmi dentro con una conclusione carica di sentimenti profondi, degna di un artista che ama con sincerità la propria opera, come se fosse vivente.
So con certezza che, a fine lettura, io sia ancora più paranoica rispetto a prima. Ma anche in questo è bello sapere di non essere soli e di potere, in qualche modo, liberare insieme i propri demoni.

Cartoomics 2017: Intervista ad Andrea Cavaletto

Dal 03 al 05 marzo si è svolta a Milano la nuova edizione del Cartoomics 2017, una delle fiere del fumetto cittadine più conosciute.
Dopo due anni, finalmente, ho avuto modo di tornarci, precisamente nella giornata di domenica: l’esperienza è stata positiva e molto interessante.
L’evento che ha reso speciale il mio pomeriggio, tra gare cosplay, vestiti belli da far piangere ogni volta il mio portafoglio e fumetti che fanno sempre gola, è sicuramente l’intervista che sono riuscita a fare ad Andrea Cavaletto, uno degli sceneggiatori di “Dylan Dog” e autore di “Paranoid Boyd”, serie che ho recensito poco tempo fa sul blog, nonché scrittore di diversi film.
Non capita tutti i giorni di poter stare a stretto contatto con un artista che ha saputo conquistarti attraverso le sue storie. Andrea mi ha messo subito a mio agio con il suo fare amichevole e molto alla mano. Nel corso della fiera ha dato tutto sé stesso per riuscire a soddisfare i numerosi fan accorsi allo stand della Edizioni Inkiostro per comprare una personale copia del suo fumetto e farselo dedicare.

Ringrazio nuovamente Andrea Cavaletto per tutto il tempo che ha voluto dedicarmi, rispondendo alle domande poste in maniera decisa e per il dialogo stimolante che siamo riusciti ad instaurare.

Cosa provi ogni volta che qualcuno ti chiede di rilasciare un’intervista? Sei abituato o ti imbarazza? Ti lusinga oppure non vedi l’ora di metterti in mostra?

Mi diverte. Sono un animale da palcoscenico quindi quando mi chiedono delle interviste sono ben contento di farle. Quello che mi piacerebbe è che mi facessero domande più particolari delle solite. Se c’è una domanda a cui mi sono stufato di rispondere è “Come sei nato come autore?”, perché ormai l’ho detto talmente tante volte che basta cercare la risposta su Internet per saperlo.

Quali sono le sensazioni che hai provato nel gestire e vedere pubblicata una storia totalmente tua come “Paranoid Boyd” rispetto a “Dylan Dog”?

Per spiegartelo bene devo partire proprio dagli inizi. Ho esordito come autore completo per gli Stati Uniti, con una graphic novel interamente disegnata e scritta da me: “World House”. Quella è stata una grandissima emozione, prima di tutto perché era il mio primo lavoro professionale, addirittura in America dopo aver ricevuto un sacco di rifiuti in Italia perché avevo uno stile “strano” rispetto ai canoni classici, derivante dall’underground.
C’è stato, però, un periodo in cui ero molto avvilito, perché non riuscivo ad ottenere quello che volevo: la pubblicazione in Italia. Ho avuto l’intuizione di inviare dall’America a qui i miei disegni e solo allora ci sono riuscito, ho avuto qualcosa da far vedere. Spesso in Italia funziona che prima bisogna farsi notare all’estero, solo dopo c’è la possibilità di essere considerati in patria.

Questo è successo anche nel cinema, la stessa emozione l’ho provata per il mio primo film, un lungometraggio realizzato in Cile: l’unico italiano in una produzione totalmente cilena. Passo dopo passo mi sono fatto valere fino a farmi notare anche in Italia.
Iniziare a disegnare per “Dylan Dog” è stata una grande emozione, perché è uno dei fumetti che leggevo da ragazzino. Era il mio mito e non credevo ce l’avrei mai fatta.
Però poi avevo bisogno, per come sono fatto io, di qualcosa che non avesse già delle pareti e fosse interamente mio. Avevo in mente questa storia da tempo, un soggetto che avevo già fatto leggere in Bonelli: “Le sette città”. Con loro, però, sarebbe stata tutta un’altra cosa: più pulita e commerciale. Quando mi è stata offerta l’occasione da Edizioni Inkiostro l’ho colta al balzo: ho ritirato il soggetto che avevo lasciato in Bonelli per trasformarlo in “Paranoid Boyd”. Ne sono estremamente orgoglioso.


Qual è il tuo rapporto con Edizioni Inkiostro rispetto a quello con Sergio Bonelli Editore?

Il mio rapporto è a prescindere buono con tutti: ho lavorato con un sacco di case di produzione di cinema e case editrici, dalle più piccole alle più grandi. Se c’è una caratteristica che mi appartiene è quella di essere piuttosto malleabile, mi adatto. So che c’è un certo comportamento da tenere con Bonelli e so che posso tenere un altro comportamento con Edizioni Inkiostro, tant’è che riesco a fare interviste diverse a seconda del personaggio di cui sto parlando. Se parlo di “Dylan Dog” uso un tono più professionale, invece con “Paranoid Boyd” (proprio perché è totalmente mio) mi esprimo come m’immagino possano essere le persone che lo leggono, posso permettermi di utilizzare un linguaggio “di strada”.

Con questo non intendo dire che la Sergio Bonelli mi limiti, il mio comportamento è del tutto naturale, non mi verrebbe da avere un atteggiamento da “Paranoid Boyd” con “Dylan Dog” e viceversa: sono due mondi completamente diversi e io riesco ad essere un po’ uno e un po’ l’altro. Non sono una persona impostata, come sono invece tanti autori specie con le interviste e i propri scritti. Mi reputo un punk, anche se d’aspetto non si direbbe, ma lo sono sicuramente come filosofia di vita.


Parliamo di “Paranoid Boyd”. Solitamente l’introduzione ad un fumetto è probabile venga totalmente saltata: anche se letta, è il contenuto dell’opera che rimane maggiormente impresso e di cui più si parla. A me è piaciuta molto quella che hai scritto, perché nella tua ansia e nelle altre affermazioni mi ci sono subito ritrovata. Cosa c’è di davvero autobiografico in “Paranoid Boyd”?

C’è veramente tanto di autobiografico, lo sento molto mio per quello. William Boyd ha tanto di quello che io mi sento di essere. La storia tocca tanti temi, tutti a me molto cari. Il fumetto va letto a più livelli, di base è intrattenimento anche se è la cosa che m’interessa di meno. Ho inserito mostri e demoni perché innanzitutto i disegnatori si devono divertire e poi perché sono elementi che a un lettore fa piacere vedere.
“Paranoid Boyd” è altro: è ciò che sta in mezzo al sangue e ai demoni. Ho usato parecchi specchietti per le allodole per riuscire a parlare di quello che mi sta a cuore. Io sono molto ansioso, paranoico e ipocondriaco, anche se non lo do molto a vedere sono una persona riflessiva e William è quello che io sarei se fossi lasciato totalmente allo sbando e se avessi avuto tutto un altro tipo di vita. Lui agisce come avrei agito io se mi fossi trovato nelle sue stesse situazioni. Per cui mi diverte anche portarlo allo stremo.

A questo proposito, è bello che tanti mi dicano di essere dispiaciuti che con il settimo volume “Paranoid Boyd” finisca. E’ così che doveva andare e in questo sono coerente, ma non è detto che non ci possano essere dei ritorni in futuro. Potrebbe essere carino fare una storia in cui William Boyd diventa vivo e perseguita il suo autore per vendicarsi di tutto quello che gli ha fatto passare, un po’ alla Stephen King in un certo senso.

Ci sarebbe un lato psicologico analizzabile, in riferimento a me che mi rispecchio in lui, ma lascio questa cosa a persone di competenza.

Rimanendo sulle tematiche che ti stanno a cuore, in “Paranoid Boyd” c’è una visione della religione controversa che trasmette messaggi forti attraverso una rappresentazione molto particolare; basti solo pensare al personaggio di Mamma Therese che fa chiaro riferimento ad una persona realmente esistita. Che rapporto hai con questo tema?

E’ molto complicata questa domanda, perché gioco molto sulle cose che scrivo. Do di me l’impressione di essere ateo o addirittura satanista, ma in realtà non è affatto così. Il mio rapporto con la religione è complicato per episodi accaduti nella mia vita. Provo amore e odio nei confronti di Dio e ho messo tutto nel fumetto. Ciononostante mi reputo una persona molto credente e proprio perché lo sono così tanto sono arrabbiato con un’entità che mi ha fatto dei torti. Le istituzioni, in generale, non le calcolo minimamente, non ne ho alcun rispetto.
Non do del “maestro” a nessuno e ho difficoltà a “sopportare” i capi negli ambienti di lavoro, per quanto sappia stare al mio posto.
Fatico a rapportarmi con qualcuno che è stato messo al di sopra di me. Devo essere io stesso a capire se quel qualcuno merita di starmi sopra, discutendone anche apertamente, faccia a faccia. Non prendo come oro colato quello che mi viene detto.

La religione, per me, è la stessa cosa: la Chiesa non ha significato. Posso sembrare sacrilego e blasfemo, ma credo di essere molto più credente di tanti che vanno a sentire messa tutte le domeniche. Ho le mie idee e le porto avanti senza convincere altri a seguirle. Alla fine, turbare può tornare sempre utile. Se “Paranoid Boyd” turba è perché probabilmente è in grado di suscitare domande, chissà che risposte si possono trovare.

Sei un artista specializzato nel genere horror. Trovi che ci sia un aspetto positivo nella paura e nell’ossessione, elementi che sfrutti per raccontare storie che vengono vendute e apprezzate?

Mi trovo bene nel genere horror perché è come una casa, lo utilizzo per raccontare qualcosa d’altro. L’ho scelto perché ce l’ho nel sangue, fin da piccolo seguivo fumetti e film di questo tipo, conseguentemente è diventato un ambiente in cui mi trovo a mio agio. Non mi interessa, però, l’horror in sé nei suoi sottogeneri: splatter, mostri, slasher. Possono essere tutte cose divertenti, ma non sono il fine che mi prefiggo, nonostante siano la base da cui parto.

L’aspetto positivo è che c’è tanta oscurità in quello che scrivo, ma c’è sempre e comunque un barlume di luce alla fine.
Mi reputo nichilista, ci sono arrivato dopo tanto tempo dedicato alla scrittura. Non sopporto la società, né le persone, spesso nemmeno me stesso e questo traspare nei miei fumetti; nonostante tutto nutro, comunque, della speranza.

Anche in “Paranoid Boyd” si vede questo aspetto. Seguendo William nei suoi deliri, diventa quasi un personaggio positivo, un eroe. Il bello di questo fumetto è che a seconda del pensiero di ogni lettore la chiave di lettura è differente. Non dirò come finirà, ma certamente avrà un finale in linea con le opinioni di ognuno. Ci saranno dei colpi di scena, come ci sono sempre stati, ma in base alla sensibilità personale tutto cambia: se sei un po’ William vedrai una piccola luce positiva nel buio.

Da sceneggiatore, vedresti di buon occhio un adattamento cinematografico di “Paranoid Boyd”?


Travis Fimmel, alias
Ragnar Lothbrock di “Vikings”

Assolutamente sì. Mi piace tanto l’attore protagonista della serie “Vikings”, è identico a come me lo immagino. In realtà, quando è nato “Paranoid Boyd” ho preso ispirazione da un modello norvegese trovato sfogliando una rivista di moda.

Lavorando nel mondo del cinema sfrutto molto come immagine di riferimento attori veri per personaggi di mia invenzione, è utile per aiutare poi gli altri disegnatori a comprendere meglio l’idea che ho nella mia testa.

Caratteristica mia è che quando scrivo mi lascio influenzare molto da quello che sto vedendo in quel determinato momento. Le mie storie risultano realistiche anche per questo aspetto.
Sono istintivo, se mi succede qualcosa che fa scattare una scintilla, automaticamente la inserisco nel pezzo che sto scrivendo.

Ultima domanda, promesso. C’è qualche opera cardine che vorresti assolutamente consigliare?

Come fumetti “Preacher”: è incredibile come Garth Ennis sia riuscito a fare una serie grottesca ma allo stesso tempo drammatica e profonda. La serie tv non è all’altezza del fumetto.
Poi ci sono i classici: Sandman, il “Dylan Dog” di Tiziano Sclavi, Watchmen.
Come personaggio adoro John Constantine, ma solo per quanto riguarda la serie classica della Vertigo. “Paranoid Boyd” è nato anche perché ero orfano di un personaggio come lui.
Adoro Clive Barker, Cormac McCarthy, Chuck Palahniuk.

C’è un po’ di tutto questo in quello che faccio.

Recensione: “Paranoid Boyd” di Andrea Cavaletto

« Quello che dentro mi sentivo, quello che mi costringevano a negare era diventato reale. Ma in quel modo… quello non lo avrei mai immaginato… »

Mi è bastato scorrere gli occhi sull’introduzione per capire che questa storia avrebbe lasciato dentro di me la sensazione di malessere e disagio che mi porta, ora, a consigliarne caldamente la lettura. 


Sto parlando di “Paranoid Boyd”, pubblicato dal 2015 da Edizioni Inkiostro. Erano ormai anni che seguivo silenziosa questa casa editrice, in attesa dell’occasione giusta per riuscire a leggere almeno uno dei molteplici fumetti da loro stampati che tanto mi attirano grazie alle favolose ed inquietanti copertine.

Quando, con sorpresa, ho ricevuto la mail di Andrea Cavaletto, il quale mi proponeva di leggere la sua opera, non ho potuto fare a meno di accettare. 

Ho trovato fin da subito, con l’autore, la giusta sintonia. Nell’introduzione, appunto, mette nero su bianco un concetto in cui io mi ci sono subito rispecchiata: “Mi prende l’ansia. Sarà perché sono un po’ paranoico.”.
Chiunque può capire, anche chi mente a sé stesso. Quest’opera è dedicata a tutti noi, perché tutti hanno i propri demoni da tenere a bada.

Cavaletto presenta, quindi, quello che è il suo alter ego e protagonista: William Boyd, uomo dall’apparente carriera di pittore un tempo in ascesa, che precipita in una spirale di tormento e droga dopo la tragica esperienza dell’11 Settembre.  Come se non bastasse, l’unico legame che ha ancora con la sua ex compagna è la figlia malata terminale, costretta in un letto d’ospedale. Infine, a complicare il tutto: un misterioso marchio sul petto e una setta di rapitori di bambini dall’ambiguo orientamento religioso. 

In questo realistico quanto tragico scenario, fa capolino l’elemento horror che distorce la realtà in maniera disturbante e pungente per reinterpretarla come se fosse un’altra dimensione, parallela a quella che è la percezione umana. L’immaginazione di Cavaletto non ha limiti (e non vuole averne) e il talento dei disegnatori che lo accompagnano in ogni albo lo mostra, letteralmente, sulla carta.

La narrazione ha momenti statici alternati a scenari frenetici. Ogni elemento rappresentato è essenziale per la buona riuscita e comprensione della storia: dalle sei pagine del numero 0 al quarto albo spin off che pone una pausa tra la prima stagione e il seguito.

Diventa spontaneo chiedersi chi sia William Boyd ed è chiaro fin da subito che non ci sia una vera risposta a questa domanda. Sarà giusto compatire e giustificare un uomo dal passato difficile?  Il lettore s’immerge nelle profondità di un animo oscuro, senza essere in grado di condannarlo davvero. Di fronte a quanto viene affrontato, esiste un’unica e giusta reazione? Affronteremmo una quotidianità fatta d’orrore e paranoia proprio come William si ritrova a dover fare?

William Boyd e
l’invasata”Mamma Therese”.
Non aggiungo altro.

Non è una lettura che posso consigliare a tutti. Al di là della scabrosità di certe tavole, il modo in cui viene affrontata la religione potrebbe colpire in negativo chi al tema è sensibile ed è giusto avvisare del rischio.

Ma in tutto questo ho solo raschiato la superficie, per comprendere al meglio le vicende è ovvio che sia necessario recuperare i fumetti usciti. Infondo, non ho anticipato nulla del finale.

Ringrazio di nuovo Andrea Cavaletto per la fiducia e auguro a tutti un buon viaggio all’interno delle proprie angosce.