Quando parlo di romanzi, mi piace molto soffermarmi sullo stile di scrittura utilizzato dall’autore. Perciò, eccomi a parlare di Carlo D’Amicis e il suo “La regola del bonsai”.
D’Amicis parla della storia di Werner senza peli sulla lingua e senza indorare particolarmente la pillola. D’altronde, è il figlio di Hitler, come si potrebbe dire in altro modo una cosa del genere? Lo shock dell’uomo viene trasmesso sulla pelle del lettore, ho trovato adatto l’utilizzo della prima persona.
I momenti di introspezione sono estremamente dettagliati. Nonostante la crudezza della narrazione, in qualche modo l’autore cerca di essere delicato e in qualche modo poetico nello scrivere i ragionamenti del suo protagonista. Werner è disilluso, molto pratico, quasi senza una vera speranza per il futuro. Il suo dramma viene vissuto come una tragedia, ma non manca una buona dose di ironia.
Eppure, ora cerca in tutti i modi di scrollarsi di dosso questa verità. Non sente appartenergli e la sua frustrazione è tangibile attraverso le parole di D’Amicis. Ha quindi inizio un viaggio in là con l’età che lo porterà incredibilmente a ribaltare le prospettive e a trovare quell’espiazione che a lungo aveva cercato.
Una narrazione che solo in apparenza sembrerebbe pesante, ma lo scorrere delle pagine va di pari passo con il trasporto emotivo che trasuda la scrittura dell’autore e che rende il romanzo tosto ma al contempo pieno di soddisfazioni.