Duncan Edgeworth è colui che può essere definito il capofamiglia perfetto: marito insensibile, padre-padrone, criptico in qualsiasi decisione da prendere. La famiglia Edgeworth vive il quotidiano in relazione all’uomo, gustandosi la normalità di ogni singolo giorno, dando vita però a una serie di scontri verbali subdoli e sottintesi che non annoiano di certo chi gira intorno alla sua figura. La normalità, però, viene sconvolta da un lutto improvviso, quello della moglie Ellen, che metterà a repentaglio lo status quo di tutti loro, rovesciando le apparenze e i falsi buonismi.
Con “Il capofamiglia”, Ivy Compton-Burnett descrive con cura e raffinatezza una condizione famigliare distorta e deviata, in cui le reali intenzioni dei personaggi coinvolti prendono il sopravvento attraverso la calma apparente, fino a sfociare in un fiume in piena. Anche la scena più convenzionalmente cordiale viene qui riscritta sotto un punto di vista inaspettato che fa cambiare al lettore continuamente prospettiva e nel complesso è portato a riflettere e a mettere in discussione qualunque cosa presentata. I rapporti tra i famigliari sono costantemente in tensione, ciò dà ritmo alla narrazione e fa in modo che una trama apparentemente semplice coinvolga e incuriosisca.
Il lutto è un evento che spacca definitivamente la vita degli Edgeworth, tanto forte quanto inaspettato, squarcia le menti di Duncan e delle figlie che si risvegliano come da un lungo sonno spaesati dalle proprie sensazioni e dai propri nuovi intenti. Sentendosi più energici che mai, anche se distrutti dal dolore interiormente, faranno di tutto per prendersi ciò che pensano sia proprio. Nance e Sybil, guidate dall’egoismo, non accettano che il padre possa rifarsi una nuova vita accanto a una donna a loro sconosciuta, che non mancherà di far sentire la propria presenza sminuendo spudoratamente chi l’ha preceduta.
Ben presto l’atmosfera diventa grottesca, quasi surreale, in un sali e scendi da capogiro che rende la lettura piacevole e nel complesso inaspettata.