Review Party: Recensione di: “Non siamo mai stati qui” di Lara Prescott

« Ha iniziato Il dottor Živago quasi dieci anni fa, e, benché abbia fatto molti progressi, ripensa spesso con nostalgia ai giorni in cui l’idea per il romanzo cominciava appena a prendere forma, e le parole sgorgavano da una sorgente ancora vergine dentro di lui. Era l’inizio di un nuovo amore: l’infatuazione, il pensiero fisso, l’ossessione; i personaggi che gli apparivano in sogno, il cuore più leggero a ogni nuova scoperta, ogni frase, ogni immagine. A tratti Boris aveva la sensazione che il suo romanzo fosse l’unica cosa ad averlo tenuto in vita. »

Chi non ha mai sentito parlare de Il dottor Zivago? Questa è la storia di un’epoca ardua da affrontare e di come dalla distruzione possano nascere opere d’importanza mondiale quale il romanzo appena citato. Boris Pasternak conduce la sua vita attraverso un regime del terrore in cui ha però la possibilità di far sentire la propria voce, nonostante la censura sia sempre nell’ombra, minacciosa. L’incontro con Olga rappresenta un momento determinante per la sua ispirazione, fino al lampo che fa scattare in lui la prima idea che si trasformerà in quel capolavoro della letteratura che non muore mai. Ma cosa succede, quando l’opera viene vista come un attacco a Stalin e si cerca di affossare lei e chiunque la difenda?
Non sapevo cosa aspettarmi da questo libro, eppure osservare la copertina mi ha intrigato sempre di più. Grazie a questo evento, sono riuscita a recuperare una lettura che non avrei fatto altrimenti e sono davvero felice di aver avuto una fortuna simile.
Lo stile di Lara Prescott è semplice e scorrevole e delinea l’epoca di contrasto tra Oriente e Occidente in un modo delicato ma al tempo stesso netto. L’amore accarezza la guerra come a voler guarire i danni che ha inferto, anche se per troppe cose è un’ambizione surreale e ben lontana dal realizzarsi. Il dottor Zivago traccia la linea conduttrice di tutto il libro, ma sono i personaggi, con la loro forza di volontà, a rendere il tutto pregno di passione, quella scintilla che guida un nobile ideale, al di là dei pericoli più grossi che possono abbattere un uomo.
Quella della Russia è, insieme alla Germania, la situazione storica che maggiormente mi fa terrore ad andare ad approfondire. Non perché non voglia sapere, ma perché mi è sempre capitato di rimanere tormentata dagli orrori che vengono a galla attraverso le ricerche.
“Non siamo mai stati qui” illustra la storia così com’è accaduta ma senza dimenticarsi del lato umano, quello fatto di emozioni e bontà d’animo e che qui sono fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo comune dei protagonisti.
Consiglio la lettura per chi ha voglia di un romanzo storico che non segua i soliti canoni strutturali ma che sappia comunque intrattenere ed emozionare.

Review Party: Recensione di: “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafòn

« Quando una biblioteca scompare, quando una libreria chiude i battenti, quando un libro viene cancellato dall’oblio, noi, i custodi di questo luogo, facciamo in modo che arrivi qui. E qui i libri che più nessuno ricorda, i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito. Noi li vendiamo e li compriamo, ma in realtà i libri non ci appartengono mai. Ognuno di questi libri è stato il miglior amico di qualcuno. »
 
Il giorno in cui il suo papà porta Daniel presso il Cimitero dei Libri Dimenticati, per il bambino rappresenta un momento di svolta, molto significativo per la sua esistenza. È così che ha inizio la sua lunga storia d’amore con i libri e la lettura, sviluppando la curiosità di scoprire i meandri di quel luogo in cui tutte quelle opere che vengono abbandonate all’oblio vengono in qualche modo preservate. In quest’occasione, il bambino porta via con sé un misterioso libro: “L’ombra del vento” di Julian Carax. Da qui scatta il viaggio più straordinario di Daniel, a cavallo tra realtà e finzione per scoprire la storia dell’autore e il destino dei suoi romanzi. Quali oscuri segreti nasconde Barcellona?

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Review Party: Recensione di: “La libertà possibile” di Margaret Wilkerson Sexton

« Dopo quel giorno Evelyn cominciò a svegliarsi ogni mattina con un’immensa tolleranza nei confronti del mondo; il sentimento che aveva cercato per tutta la vita non era arrivato prima perché non conosceva Renard, e, adesso che lui era lì, Evelyn riusciva a raggiungere l’ottava di gioia più alta, quella che la solitudine le precludeva. »

Tre generazioni di una famiglia di colore affrontano il dramma della mancanza di libertà, attraverso il tempo, nella grande metropoli di New Orleans.
La prima alla ricerca di un riscatto è Evelyn, che nel 1944 conosce l’uomo della sua vita: Renard. Ma il colore della pelle li divide e ferisce i loro sentimenti, soffocati dal pregiudizio e da concezioni razziste che non vedono tra loro un parità di diritti.
La storia si ripete inevitabilmente, quando negli anni ’80 Jackie, figlia di Evelyn, si ritrova da sola con un bambino da crescere dopo che il marito Terry si è ritrovato ad affrontare il terribile incubo della tossicodipendenza. E se questa maledetta macchia espansa nel globo si abbatte ovunque. senza fare distinzioni di genere, razza, età o stato economico, lo fanno ancora una volta le condizioni precarie di chi è nato in un quartiere anziché l’altro, la debolezza interiore e la convinzione di non avere altra scelta se non lasciarsi andare. Ma quando Terry trova la forza di dire no al baratro, farà di tutto per riconquistare il posto che gli spetta nella sua famiglia.
Ma nel 2010 nulla è cambiato per loro figlio, T.C., che appena uscito di prigione a 25 anni si ritrova invischiato in altre losche operazioni. Può l’arrivo di un figlio fermare questa spirale di caos?
A cavallo di epoche storiche fondamentali e accuratamente descritte, Margaret Wilkerson Sexton porta il lettore in un viaggio apparentemente lontano ma che mette in discussione le proprie convinzioni, facendo riflettere su quanto la disuguaglianza sia ancora un neo della società troppo difficile da estirpare.
La scrittrice narra con uno stile semplice e scorrevole tre storie ben distinte che ricalcano uno spaccato di società in cui ci si può ritrovare solo grazie ad una mentalità aperta e con l’intenzione di mettersi in discussione. In mezzo a povertà, ingiustizie e incomprensioni si può vedere chiaramente il cuore della storia: la libertà raggiungibile attraverso l’amore e i legami famigliari. Spesso sono le catene invisibili a far sentire un essere umano in trappola, perché sono quelle più crudeli e difficili da abbattere, perché chi ha gli occhi spesso non ha o non vuole avere la giusta prospettiva da cui osservare il mondo.
La libertà purtroppo rende spesso chi se la può permettere egoista e superiore nei confronti di chi per un motivo o per un altro non può averla. Chi si sente più forte si sente anche in diritto di poter decidere per gli altri, agendo in modo spropositato e scorretto per i propri interessi e mascherandoli per un bene comune.
Libertà vuol dire soprattutto rispettare l’altro indipendentemente da tutto: dal colore della pelle, dall’educazione, dalla ricchezza materiale. Forse quando tutti si ricorderanno questo, le generazioni future non dovranno avere il timore di ricadere nelle negative situazioni che chi prima di loro hanno dovuto passare. 
Solo quando tutti avranno coscienza delle conseguenze delle proprie azioni potremo parlare davvero di ogni libertà possibile.