Per il blog tour dedicato al nuovo libro di Annalisa Rizzi vi propongo degli estratti, per invogliarvi alla lettura di questa breve storia estiva!
TAPPE:
La camera è davvero bella, arredata in stile shabby chic come la hall.
Alle pareti ci sono dei quadretti che rappresentano fari, gabbiani e barche a vela, le cui cornici sono decorate con spago e conchiglie. Il mobilio è in legno tinteggiato di bianco, anticato di proposito, mentre le pareti e il pavimento sono in un luminoso color screma. Le tende sono doppie: quelle vicino alla porta finestra sono più leggere, quasi impalpabili, candide da lasciar passare la luce del giorno. Quelle oscuranti, invece, sono di un bel blu cobalto, stesso colore ripreso dalle basi dei paralumi, dai contorni dell’applique a soffitto e dalla cornice dell’ampio specchio accanto all’armadio a muro, posizionato vicino al piccolo bagno con doccia, lindo e accogliente nelle sue piastrelle in un elegante azzurro marmorizzato.
Seguo Sara, che intanto si è fiondata sul balconcino privato: due lettini sono orientati verso il mare, dove la suggestiva sporgenza di Polignano sovrasta le onde. In un angolino un piccolo stendi panni è riposto con discrezione a libero uso degli ospiti.
«È davvero bellissimo.» Esclama lei contenta.
La guardo: il sole le bacia le lentiggini sul naso e infiamma i suoi capelli ramati, mossi e ondulati sulle spalle. Le sorrido. Devo ammetterlo, sono felice di trovarmi qui con lei. Se non mi avesse trascinata in questo posto incantevole, a quest’ora starei certamente vagando nel mio appartamento piangendomi addosso. «Grazie.» Le dico.
Lei si volta guardandomi negli occhi. «Ti prometto che questa sarà la vacanza più bella di sempre.» Dice e ci abbracciamo.
Se possibile, le voglio ancora più bene quando finge di non sentire il singhiozzo che mi sfugge
***
Sto seriamente pensando di tornarmene a letto di nascosto ma pur con tutta la mia buona volontà non riesco a staccare gli occhi da lui: indossa soltanto un paio di boxer blu e le sue spalle muscolose e definite attraggono lo sguardo come una calamita. Lui si volta per poggiare il bicchiere sul tavolo e quasi gli sfugge dalle mani quando mi vede.
All’improvviso mi rendo conto di quanto possa essere imbarazzante la scena e soprattutto il mio aspetto: indosso una t-shirt gigante e un paio di calzoncini. Chissà poi in che condizione saranno i capelli! Faccio un passo indietro, brandendo il cellulare davanti a me. «Scusa!» Sussurro per non svegliare nessuno. «Volevo solo dell’acqua, ma me ne vado subito!»
Sento addosso il suo sguardo interdetto, poi mi volto per tornare da dove sono arrivata, quando sento la sua voce. «Aspetta!» Sussurra a sua volta.
Mi giro e lo vedo prendere un secondo bicchiere da uno stipetto accanto al frigorifero.
Versa dell’acqua e mi porge il bicchiere. Non so perché, ma avrei preferito lo poggiasse sul tavolo accanto al primo che ha riempito: non sarei costretta ad avvicinarmi per prenderlo dalla sua mano.
Mentre bevo mi osserva con un’espressione penetrante. «Quando sei entrata per un momento mi eri sembrata un’altra persona.» Dice piano.
Lo guardo stranita. «Chi?» Mi viene naturale chiedergli.
Lui si riscuote, poi alza le spalle. «Non importa. Me ne torno a dormire, buonanotte.» Saluta precipitosamente ed esce dalla cucina.
Poso confusa il bicchiere ormai vuoto nella vasca del lavello e mi volto per andarmene anch’io. Il suo è sul tavolo, dove l’aveva lasciato. Non ha bevuto neanche un sorso.
***
Mi precipito fuori e lo vedo: quelle spalle, quel taglio di capelli. È lui!
«Stefano!» Chiamo.
Si volta e io comincio a correre sotto la pioggia torrenziale con il sollievo che mi esplode nel petto.
«Diana!» Grida lui, mentre un tuono sovrasta la sua voce. «Ma cosa ti salta in mente?»
Non ci vuole un genio per capire che è arrabbiato. I fulmini che gli escono dagli occhi sono pari a quelli che guizzano sulle nostre teste.
Mi blocco a pochi passi da lui. «Mi spiace…» Balbetto, intimidita dalla sua reazione. «Mi sono persa.»
Rimaniamo qualche istante così, sotto l’acqua battente. Poi lui fa un passo e un altro ancora, e si ferma davanti a me. «Mi hai fatto preoccupare!» Dice con tono d’accusa.
«Ti stai bagnando completamente per colpa mia.» Gli dico di getto, mortificata per la situazione.
«Accidenti a te.» Dice facendo altri due passi, gli ultimi che ci separano. Mi prende per mano con veemenza e comincia a trascinarmi con sé.
Eh no, non può trattarmi così, neanche fossi una bambina. Libero la mano dalla presa e mi preparo a fronteggiarlo mentre si volta a guardarmi.
«Cosa c’è adesso?» Quasi mi grida. Ha un’aria truce, ma non mi spaventa.
«Cos’è questa confidenza?» Gli chiedo furiosa. «Quando mai ti ho dato il permesso di strattonarmi così?»
Lui spalanca la bocca. «Strattonarti? Ti ho solo preso la mano!»
«No, mi hai afferrato la mano!» Gli rispondo offesa.
Lui si porta due dita al setto nasale e chiude gli occhi. «Diana,» dice sospirando in un tono meno aggressivo. «Ti rendi conto che sono dovuto venire a cercarti sotto l’acquazzone a piedi? Non ho fatto muovere la navetta perché non si vede quasi nulla, avevo paura che potessimo investirti, sbadata come sei. Mi sto inzuppando e mi sto anche innervosendo.»
«Grazie per essere venuto.» Gli rispondo mantenendo una calma stizzita. «Lo apprezzo molto. Mi spiace che tu ti stia inzuppando ma vorrei farti notare che siamo in due, qui fuori.»
Lui mi guarda. Non so se è per la pioggia, ma mi sembra di scorgere nuovamente quello strano luccichio nei suoi occhi. E, cosa assolutamente imprevedibile, sorride.
«Avresti dovuto evitare di truccarti, come ieri mattina.» Mi dice con un tono improvvisamente diverso. «Sembri un panda.»
Lo guardo sorpresa, poi non riesco a trattenermi. La risata sgorga così, fra i tuoni e la pioggia torrenziale, nel grigiore e nell’aria diventata troppo fredda per i miei vestiti leggeri e la sua polo ormai attillata sulle spalle.
Mi tende una mano sorridendo. «Ora posso avere il tuo permesso?» Mi chiede.
Lo imito allungando il braccio. Le nostre dita si intrecciano le une alle altre e per un istante rimaniamo a guardarci così, sotto il temporale: una ragazza con il mascara sciolto e una guida turistica improvvisata.
«Andiamo.» Mi dice dolcemente.
E insieme raggiungiamo l’autobus, fermo a un solo angolo di distanza dal bar in cui mi ero rifugiata.
“Leggera come l’estate” di Annalisa Rizzi è disponibile a
questo link.