Lo storico, il giallo e il noir sono sempre stati i generi che hanno reso giustamente apprezzata la bibliografia dello scrittore francese Pierre Lemaitre. In questo suo romanzo più recente, “Il serpente maiuscolo”, si nota, per molteplici motivazioni, un tocco che è stato definito dalla critica “tipicamente” Tarantiniano. Scopriamo meglio insieme di cosa si tratta.
Chi è Mathilde? Una signora apparentemente comune, tranquilla, accompagnata dal suo dalmata perché ormai vedova di marito. Una sessantenne con una vita tranquilla e che tutti, a Parigi, definirebbero come incapace di infastidire gli altri. Eppure, Mathilde ha un segreto: è uno spietato sicario.
Già la trama del romanzo di Lemaitre lascia intuire quali saranno le vibes dell’intera vicenda. Già da qui, infatti, potremmo definire la storia in pieno stile Quentin Tarantino. La bizzarria con cui la protagonista viene presentata e come la situazione degenera in un lampo è qualcosa che il regista americano conosce molto bene.
Lemaitre ha uno stile fluido, che sembra andare all’impazzata come la storia stessa nel suo sviluppo, però ben scandita dagli archi temporali che riportano il tutto all’ordine. Tarantino sfrutta sempre i salti temporali proprio per dare una logica anziché confondere di più. Anzi, sembra l’elemento più stabile delle sue storie, a cui ci si può aggrappare fedelmente come unica ancora certa.
Le scene di questo romanzo sono lunghe e dettagliate. Passano davanti all’occhio come lunghi piani sequenza, in cui è possibile soffermarsi sul più piccolo dettaglio perché l’inquadratura lo permette. Questo è uno degli elementi più riconoscibili nella filmografia di Tarantino, che sembra quasi non voler dare tregua agli attori costringendoli a scene recitate apparentemente infinite, quando in realtà sono poi solo 8/10 minuti di girato. Lemaitre mette di fronte ai suoi occhi i personaggi e li fa danzare a loro piacimento, dando sempre tacite indicazioni su come deve iniziare e concludersi un capitolo. Senza mai lasciare nulla al caso.
Infine, veniamo al clou: la violenza, il pulp. Perché sì, non si può certo parlare di thriller senza una buona dose di omicidi e descrizioni più precise possibili. Mathilde è un’assassina ed esegue le sue uccisioni nel modo più pulito, elegante e rapido possibile. Ma non mancano, sulle scene del crimine analizzate dall’ispettore Vassiliev, dosi di sangue copiose a imbrattare i luoghi, i corpi ormai privi di vita, perfino le menti di chi è costretto a guardare. Ma in questo c’è sempre un equilibrio, mai un’esagerazione illogica. Questo accomuna Lemaitre e Tarantino: anche nell’eccesso non c’è mai l’insensatezza. Esiste l’eleganza anche nello splatter e questi due autori lo sanno sfruttare molto bene, nei rispettivi mezzi di comunicazione.
“Il serpente maiuscolo” saprà intrattenervi per questo e tanto altro. Non fatevi scappare il ritorno di Pierre Lemaitre nel mondo dell’editoria con un romanzo che sa sorprendere in ogni cosa, dalla trama allo stile di narrazione.