Il 05 Marzo del 1870 sancisce, per 19/03, l’inizio della sua nuova vita. Il destino, a sua detta, l’ha strappato dalla condizione di orfano, regalandogli una nuova casa e un nuovo nome: Pietro Odìn. Così, da Novara parte insieme alla Contessa Silvia di Boccamara, alla volta di Roma, dove risuonano a gran voce gli echi di “Viva l’Italia! Roma libera!”. Sono gli stessi echi che accolgono Marta, da sempre appartenuta al Circo Callari, incapace di ricordare il suo vero nome o il volto dei genitori. Entrambi si riconoscono nei rispettivi sguardi, come entità che non si sentono appartenere a nulla, tantomeno a uno stato la cui città simbolo è ancora sotto il potere della Chiesa. Ma soltanto insieme troveranno il modo per chiamare la loro città casa, mentre intorno iniziano a crearsi gli schieramenti per un’ultima, decisiva, battaglia.
La parola che istantaneamente associo al romanzo di Luca Di Fulvio è calamitante. Il suo stile di scrittura, fluido e carico di emotività, trasporta in un passato non così lontano dall’Italia che conosciamo, agli albori dell’Unità che l’hanno resa tale. Gli intrecci delle storie da lui create permettono al lettore di seguire con facilità un filo conduttore chiaro e lineare, così intrigante che gli occhi non riescono a smettere di scorrere di pagina in pagina, rendendo nulli i capitoli che compongono la corposa opera. Sono rimasta colpita dalla caratterizzazione di Pietro e Marta, che nonostante i tormenti del passato non smettono di far splendere la fiamma interiore che li rende così interessanti. Ho trovato d’impatto associare la nascita del senso di patriottismo ai sentimenti che formano una famiglia, quelli di supporto e unione, che solitamente chi è privo di genitori non riesce davvero a comprendere. Il senso di appartenenza a qualcosa di reale e concreto è l’obiettivo che entrambi i personaggi si pongono, come se, raggiunto quello, potessero capire davvero ciò che la vita ha strappato loro troppo presto. La descrizione di Roma, la Città Eterna, è intrigante per gli elementi che, seppure in contrapposizione, la compongono delineando un quadro preciso come una fotografia, evidenziando il fascino che ha sempre sortito sul popolo, ma anche il degrado dato da una condizione a metà, di appartenenza allo Stato Pontificio ma solo perché costretta. È come se fosse la città stessa a chiedere disperatamente di sentirsi libera, perché una gabbia d’oro non è una casa, ma una prigione che a lungo andare soffoca e spegne dentro.
“La ballata della Città Eterna” vi mostrerà, da un punto di vista originale e particolare, la nascita del nostro Paese, non attraverso i fatti nudi e crudi che sono passati alla storia, ma grazie ai forti sentimenti che hanno fatto sì che la storia stessa potesse essere scritta esattamente come la conosciamo.