« L’alba danzò per l’isola come una Grazia in abiti dorati, ammantando ogni foglia e ogni aspra roccia vulcanica di una filigrana di luce che sembrava pizzo, proprio mentre Serina e le altre erano impegnate a cancellare il massacro della sera prima. Tutti i cadaveri erano spariti, le donne uccise erano state affidate al fuoco rosso del vulcano e le guardie ai gelidi abissi dell’oceano. Ben presto, scomparve anche ogni traccia di sangue. »
Con somma sorpresa mi ritrovo a così poca distanza di uscita dal primo libro a poter leggere l’epilogo dell’emozionante storia di Iron Flowers. Tracy Banghart non ha affatto deluso le mie aspettative, mi ha riaccolto tra il sangue e il ferro trascinandomi nell’angosciante clima in cui avevo lasciato le protagoniste.
Virida e Monte Rovina ricompaiono istantaneamente nel punto in cui li avevo lasciati. Il destino di Serina e Nomi è appeso ad un sottile filo che, seppur lontane, le lega indissolubilmente in una lotta per la propria identità che di lì a poco si abbatterà sulla loro terra.
Non perdono la speranza di rincontrarsi e di mostrare all’altra quale radicale cambiamento ha attraversato la loro pelle e la loro mente. Questo cambiamento non cozza affatto con la coerenza dei personaggi, anzi, è assolutamente coerente con i traumi e le vicende che hanno dovuto subire. Proprio questo le porta a risvegliarsi dalle regole imposte per seguire la propria strada e tracciare i lineamenti di un nuovo mondo.
Iron Flowers è una delle prove per affermare che non serve sempre scrivere un’epopea infinita per poter produrre una buona storia. In due libri sono concentrate emozioni positive e negative, forza bruta e dell’animo, debolezze da sconfiggere e quelle da mostrare con orgoglio, amore e tradimento, un colpo di scena dopo l’altro.
Seppur non così tanto chiacchierata è una storia che merita di essere letta, perché è dedicata non solo alle donne ma a tutte le persone che hanno bisogno di trovare il coraggio per non abbassare la testa e lottare per loro stesse.