“La casa di incubi e stelle” è un libro in cui soffermarsi alle apparenze e alle prime impressioni è lo sbaglio più grande che si possa commettere. Tra le pagine c’è volgarità, sesso esplicito, brutalità irragionevoli, di cui è facile sottovalutarne la funzione, rimanendo ciechi ai reali intenti che stanno dietro alla creazione dell’opera.
Quella di Sonia e Simone è una storia cruda, fatta di violenze, ossessioni, sbagli e incubi. Sono due le strade che possono prendere: allontanarsi definitivamente l’uno dall’altra oppure vivere ciò che provano vicendevolmente, l’unica cosa che può davvero salvarli dall’oblio. Il loro contrasto fisico e mentale va di pari passo con quella particolare attrazione, che per quanto sbagliata sia li tiene in piedi e li fa rimanere lucidi, evitando errori irreparabili, molto più gravi di quelli attualmente in atto. Ciò che provano è inspiegabile e la mancanza di comunicazione li distrugge e allontana, fino alla volta successiva in cui saranno i loro corpi a pretendere un contatto sincero. Nonostante i fraintendimenti, le bugie, le colpe.
«Perché non poteva lasciarci almeno un angolo dove poter essere felici? Una finestra.»
«Ti sbagli» la correggo. «A lui piaceva vederti ridere, così lo ringraziavi.»
«Allora perché? Glielo avevo detto che mi piaceva e che venivo quando avevo degli incubi o non riuscivo a dormire. Ma l’ha tolta lo stesso!»
Scuoto la testa senza staccarmi da lei e con un sorriso dal sapore amaro.
«Aveva visto felice me e questo no, non gli piaceva.»
Sonia socchiude le palpebre e affila lo sguardo. Una gatta pronta ad attaccare un cane randagio, perché lo sa che questo cane glielo lascerà fare. Invece, si fionda sulla mia bocca. Ricambio stordito e lei si allontana.
«Allora devi essere felice» dichiara con una sicurezza assurda.
Come potrei mai esserlo?
Le sue mani scendono e si muovono agili nello sbottonare i jeans. Un brivido mi attraversa, quando con le dita mi sfiora il cazzo, che reagisce subito al suo richiamo. Si sposta ancora per abbassarsi, ma le afferro le spalle.
«No» le intimo, riportandola vicino a me.
«Perché?»
«Abbracciami.»
Le si forma una ruga tra gli occhi, mentre sbatte le palpebre un paio di volte. Tentenna, ma non posso ripetere, non ci riesco e forse lo intuisce. Mi stringe e affonda la faccia nell’incavo del collo, io nei suoi capelli. Da quanto non chiedevo un gesto tanto semplice? Non me lo ricordo, però è quello che voglio. Ora, che non so più nemmeno dire che le voglio bene, che ho bisogno di lei.
Cosa cazzo devo fare?
Scoprire cosa ha fatto. Sì. Dopo.
Parlare, non scopare. Dopo.
Respirare. Adesso.
Sono proprio le colpe, che tormentano come una lama nella ferita, ad aver scombinato tutto, fin dall’inizio. Colpe che si inseguono, tra giustificabile e ingiustificabile, passando da testa a testa, in un groviglio di nodi dolorosi che tirano per emergere contemporaneamente. Colpa di una debolezza, di una violenza, di una cieca paura del dolore, fino alla colpa del mancato coraggio, di quella forza per opporsi e mettere un punto fermo e definitivo alla situazione.
Il sesto capitolo del libro di Chiara Casalini mette in risalto candidamente l’ossessione dei protagonisti, il voler fuggire dagli sbagli di chi è stato adulto prima di loro ma ricadendo nei ricordi crudeli di un’infanzia rovinata. Non è facile accettare ciò che c’è stato e “Perché?” è una domanda che infetta, contaminando la purezza di anime che vorrebbero soltanto vivere senza preoccupazioni così grandi che andrebbero semplicemente dimenticate.
La soluzione sembra ben lontana dal rivelarsi e per raggiungerla è necessario fare i conti ancora una volta con tutto ciò che c’è stato, per fare pace con sé stessi e arrivare a capire che non ci sono vere colpe nella loro identità e in ciò che sentono. Sono le colpe degli altri ad aver creato degli incubi nel tranquillo cielo puntinato di stelle che vorrebbe essere il loro legame.


In un mondo in cui umani e creature fantastiche coesistono, Fendra ha un unico scopo: entrare a far parte dell’accademia di Asterya per addestrarsi a combattere i mostri che attanagliano il mondo di Primordia. Lei li conosce bene, quei mostri, ombre del passato che la minacciano negli incubi, giorno e notte. Le stesse ombre che hanno distrutto l’Alleanza tra i regni anni orsono e che non hanno mai smesso di diffondere il male attraverso la magia oscura. C’è bisogno di coraggio, determinazione e un’incredibile forza interiore, che la ragazza dovrà trovare per non soccombere definitivamente. Grazie al potere dell’amicizia, un legame forse più forte di qualsiasi magia, potrà sostenere i suoi nobili intenti.
In un piccolo punto imprecisato del Messico prende forma nel Novecento l’Hacienda della famiglia Morales, che unisce a sé un intricato albero generazionale di cui in parte viene compresa anche nana Reja. Passata una vita a lavorare come domestica per i Morales, la donna si sente a casa in quegli ambienti, che le trasmettono pace e tranquillità, nonostante ancora non sappia che qualcosa sta per scombussolarle completamente la vita. Sarà proprio lei a ritrovare abbandonato sotto un ponte un bambino sfigurato circondato da uno sciame di api, evento che sconvolge il villaggio, preda di superstizioni e dicerie che portano le persone a credere che il piccolo sia segno di un cattivo presagio. Reja non da peso a questo e anzi, fa di tutto per far accettare alla comunità il nuovo arrivato a cui viene dato il nome di Simonopio e che viene accudito amorevolmente dai Morales. Le api non lo abbandonano mai, come una corazza per proteggerlo e lui può studiarle, conoscerle e imparare ogni cosa osservandole. L’influenza spagnola e la rivoluzione messicana sconvolgono il paese in un modo imprevisto, ma grazie a un dono del bambino, che gli permette attraverso il ronzio delle api di prevedere i presagi, forse c’è una possibilità per superare tutto questo.