Review Party: “Un tempo ingiusto” di Gertrud Tinning

Nelly lavora alla Manifattura tessile Ruben di Copenhagen durante gli anni del 1800, al fianco della cognata Marie che per lei rappresenta una vera e propria famiglia. Stando sempre insieme vivono i problemi reciproci, che passano da quelli lavorativi a quelli famigliari, in un contesto in cui la donna nonostante sia inferiore deve svolgere molte più mansioni dell’uomo. Un grave incidente subito da Marie spinge Nelly a cominciare finalmente la sua battaglia, a rappresentanza di tutte quelle donne che vivono come lei una vita di soprusi e violenze.

La Tinning costruisce la forza della sua opera nella cura e nel rispetto dell’epoca trattata. Le tematiche di parità, emancipazione e consenso sociale sono il fulcro di una storia che rende davvero giustizia a un tempo ingiusto in cui poter vivere, soprattutto per determinate minoranze che non avevano le stesse possibilità dei più ricchi e forti. Nelly e Anna diventano senza presunzione le paladine a simbolo di tutti coloro che non avevano una voce per battersi e lo fanno con carattere e naturalezza, risultando complessivamente naturali.

“Un tempo ingiusto” è un romanzo pieno di avvenimenti interessanti da seguire e di riflessioni che rimangono impresse nel lettore anche dopo aver concluso la lettura. Un’ottima denuncia di ingiustizie che è sempre necessario far presenti, in un’epoca in cui non ci si ferma ancora a sufficienza sui bisogni primari degli individui.

Review Party: “La casa di incubi e stelle” di Chiara Casalini

Simone e Sonia sanno fin da bambini di doversi considerare fratelli. Anche se non per sangue, lo stesso cognome li lega, così come la morale comune che vede nel loro rapporto qualcosa più di un’amicizia ma riferito alla fiducia, al sostegno e all’affetto fraterno. Nulla di tutto ciò può essere possibile in un ambiente famigliare tossico e delirante che può soltanto distruggerli come individui. I due hanno solo sé stessi per salvarsi e quella mano tesa verso l’altro fa scaturire un rapporto che va oltre quella morale comune che rende il loro amore inaccettabile. Simone lotta contro ciò che prova per Sonia da sempre, in un continuo gioco di attrazione e repulsione che non sa controllare. Sa solo che quando è con la ragazza si sente completo, a casa, lontano dai guai che hanno tempestato la sua vita. Cambiare paese è inutile, così come tenerla all’oscuro delle sue conoscenze a Las Vegas. Sonia lo ritroverà sempre e tenterà di fare breccia nel suo cuore senza più doversene andare.

Non sono sconosciuta alla narrazione di Chiara Casalini, ma posso affermare che “La casa di incubi e stelle” sia un’opera diversa da tutto ciò che ha scritto finora e che di lei io abbia letto. Scrivere di un rapporto che tutti definiremmo sbagliato e malato, cercando in qualche modo di dargli giustizia, ha come risultato un’opera che fa male e che con la sua crudezza colpisce allo stomaco. Molte sono le scene volgari ed esplicite, figlie di un ambiente marcio che rende ogni cosa degradante. Solo attraverso un certo tipo di linguaggio, che alla lunga può dare fastidio, si può far passare il punto di vista dei personaggi, smarriti anche nella loro stessa casa e che solo nell’altra persona riescono a vedere una luce in mezzo a tutti gli incubi. Non è facile scrivere una storia del genere facendo passare il giusto messaggio, ma quello di Chiara è un buon tentativo che, nonostante possa essere discutibile ai più, merita di ricevere una possibilità. Non necessita di girare intorno alle situazioni per infondere nel lettore l’ossessione morbosa di Simone verso Sonia e viceversa, in un concatenarsi di violenza, odio e dolore da cui sembra impossibile scappare, ma con cui si può solo imparare a conviverci, ingoiando a forza ogni istante di ogni giorno. Quello che si può fare è imparare a trovare in ogni sguardo, carezza e bacio un’ancora di salvezza che possa un minimo sanare e cicatrizzare le ferite più profonde. Questa esperienza di scrittura porterà sicuramente l’autrice a entrare sempre più in sintonia con questo tipo di storie, riuscendo a smentire le malelingue e a conquistare un consenso difficile da ottenere, ma dalle grandi soddisfazioni una volta raggiunto.

Recensione: “Sensitive” di Vivian Ley

Ci sono aspetti dell’animo umano che spesso non si vorrebbe scoprire. Albergano reconditi nelle profondità della mente, nascosti tra un desiderio e l’altro, imprigionati dal muro della repulsione che protegge conseguentemente il raziocinio, permettendo di riuscire ad addormentarsi la notte. Quando entra in gioco la sensibilità, questa abbatte ogni ostacolo lacerando le illusioni e facendo emergere il vero io alla luce del sole, che brucia la pelle, buca gli organi vitali, fino a schiantarsi contro ciò che si definisce anima, mettendola di fronte ai fatti reali senza permetterle più di velarsi dietro alle apparenze.

Vivian Ley trasmette tutto questo attraverso una raccolta di racconti veloci da leggere ma duri da digerire, per le tematiche affrontate che fanno risaltare i lati bui dell’essere umano. “Sensitive” è luci e ombre, vita e morte, amore e ossessione. Un inno all’imperfezione dell’individuo, che scava insistentemente per far riflettere e sensibilizzare su argomenti che solitamente si seguono distrattamente, sui notiziari e tramite i social, ma che passano e se ne vanno nel giro di pochi minuti, se non addirittura secondi. Soprattutto quando non si viene toccati direttamente, vige la corazza del distacco e dell’egoismo, che scaccia l’inquietudine data da certe informazioni e torna a focalizzarsi sulla propria esistenza, con i propri problemi e con le proprie gioie.

I personaggi delle storie dell’autrice sono le sfumature di questa sensibilità tanto ricercata, che indaga la psicologia attraverso i differenti punti di vista tra vittima e carnefice, sorprendendo quando questi imprevedibilmente coincidono. Ognuno dei protagonisti si racconta per pochi istanti, bloccandosi nel limbo del tempo per poi tornare a fare i conti con sé stesso da solo: il lettore può solo immaginare il dopo, interrotto bruscamente dalle parole che non permettono di andare oltre. Si fermano, lasciando il resto all’immaginazione e scaricando addosso sensazioni intense, che lasciano tracce sgradevoli ma necessarie alla vera comprensione.

Lo stile di scrittura di Vivian è graffiante e diretto, non gira intorno ai fatti di cui mostra particolari scorci ed è perfetto per il messaggio che vuole trasmettere, non percepibile da tutti, ma solo chi avrà la volontà di fermarsi e concentrarsi sulle pagine potrà recepirlo davvero. “Sensitive” è un breve attimo d’inspiegabile forza, che s’incastra nel cuore e come una scheggia fa sanguinare, per rendere migliore chi dal dolore sa trarne gli insegnamenti.

Blog Tour: “Primordia. L’alleanza” di J.A. Windgale

Entrare a far parte di qualsiasi mondo su carta nel modo più consono possibile, è spesso determinato da come questo mondo viene presentato fin dalle prime righe.

Non avere paura del buio.
I mostri non esistono, non c’è niente in agguato sotto il letto.
È stato vero per molti anni della mia vita.
Mi piaceva la notte. Passavo ore sdraiata sul prato dietro la locanda
a guardare la luna e contare le stelle. Merel mi controllava dalla finestra,
mentre serviva un boccale di idromele o una zuppa.
Era Selena a richiamarmi, quando arrivava l’ora di dormire. Salivamo
nelle nostre stanze, ci pettinavamo i capelli a vicenda e poi ci nascondevamo
sotto le coperte a raccontarci mille segreti. Spesso ci addormentavamo
così, con la candela ancora accesa e il sorriso sulle labbra. Merel
passava più tardi a rimboccarci le coperte e, in dormiveglia, la sentivo
chinarsi e darmi un bacio sulla fronte.
Dormi bene, piccola.
Non un istante ho dubitato di essere al sicuro. Perché i mostri non
esistevano. Non ancora, almeno.

Questo vale in particolar modo per Primordia, che ha un’ambientazione vasta e molti elementi al suo interno. Trasmettere la giusta atmosfera fin da subito fa concentrare il lettore su cosa andrà a trovare tra le pagine: l’incipit terrorizza e mette in allarme dai mostri spaventosi che invadono la terra e tormentano la protagonista. Anche gli antagonisti hanno il proprio ruolo nella storia ed è giusto dare loro il giusto spazio per farsi conoscere e per insidiarsi nella mente dello spettatore nello stesso modo in cui sono riusciti a entrare nella mente dei personaggi come un morbo, parassita delle emozioni e della razionalità. Quando un nemico si attacca a tal punto, scatta qualcosa che porta a non poter stare più con le mani in mano, a voler agire per proteggere gli altri e rendere la realtà un posto migliore. Anche se questo, molto spesso, può portare a grossi sacrifici.

Sono sacrifici che sul momento si è anche disposti a compiere, ma quando entra in ballo il dolore è come perdere un po’ sé stessi in certe decisioni. Ciò che capita a Fendra, determinata a combattere per proteggere gli altri dai Morhn, è di dover superare un limite, quello che la separerà dalla sua famiglia per inseguire il percorso che la farà diventare più forte e che le darà le competenze pratiche per uccidere. L’unico modo per sentirsi sicura di fronte alla morte di quelle creature è sapere di avere gli strumenti per poterle far soccombere. Ma la morte degli altri? Assistere all’oblio di innocenti è un qualcosa a cui vieni addestrato davvero? Spesso viene automatico distogliere lo sguardo e puntare altrove, verso un altro obiettivo da abbattere. Non sempre però si può fare così e la ragazza si trova spiazzata dal dover gestire l’ennesima situazione di sacrificio: il rimorso prende il sopravvento, per non essere riuscita nell’intento che l’ha spinta ad andare via dal suo villaggio. A Fendra non rimane altro che privare gli altri della vita per salvare da qualcosa di ancora più terribile della morte, un aspetto cui l’Accademia di Asterya non può formarti, ma solo l’esperienza sul campo, nuda e cruda. Solo pensandola in questo modo può compiere dei gesti drammatici, offrendo a chiunque si ritroverà sul cammino la dignità di andarsene sorridendo, in barba al nemico e alla morte stessa.

«E se non andasse da solo?»
Questa volta, tutte le teste sono voltate verso di me.
«Siamo stati scelti dai Mayster per una missione che ci ha portati qui.
Tutto converge verso il confine e se William vuole andarci noi saremo
con lui.» Lo sguardo d’intesa che mi rivolge William, con quel breve sorriso,
mi convince che è la cosa giusta. «Asterya è lo scudo di Primordia.
Dove dovremmo essere se non al fianco del nostro Cavaliere?»
Le mie parole provocano una reazione inaspettata nel pubblico. Re
Norwyn e la regina Sheyla annuiscono, mentre re Elar continua a essere
contrariato.
«Perché dovrei darvi fiducia?» chiede e si rivolge proprio a me.
È una domanda infelice che crede possa farmi ancora del male.
L’avrebbe fatto anni fa, ma non ora. Ora mi scivola addosso come acqua.
«Perché non vi ho mai deluso, nonostante tutto.»
Re Elar si alza e troneggia su di me.
«Sei entrata nella vita di mio figlio senza alcun titolo e ora chiedi di
diventare il suo scudo. In tutti questi anni, non hai ancora imparato qual
è il tuo posto.»
«Padre…» cerca di intervenire William, ma io lo interrompo con un
gesto della mano.
«Il mio posto è sempre stato al fianco di William.»
«Il tuo posto è nell’ombra, figlia di locandiera!» La voce di re Elar
rimbomba nella stanza, piena di furia e disgusto. «Un verme non potrà
mai diventare un’aquila.» Mi dà le spalle e si avvia di nuovo verso il
trono. «Richiesta negata.»
Le sue parole mi scivolano addosso. «Mi dispiace, mio re, ma non è
vostra la scelta.»
Re Elar si blocca e si gira di scatto, gli occhi fiammeggianti di rabbia.
William non si fa intimorire. «Fendra è una cadetta di Asterya, la
decisione spetta ai Mayster.»
«Molto bene» sorride freddo il re. «In questo caso, confido che Mayster
Firya prenderà la decisione più appropriata.» Si lascia cadere sul
trono e guarda sicuro lo Specchio di Perla.
La Mayster sembra pensarci su un attimo. Guarda prima William, poi
me, Drewan e Hale. Se c’è qualcuno a cui è difficile ordinare qualcosa,
quella è la Mayster Firya.
«Il vostro strano trio non è passato inosservato ad Asterya. La figlia
della locandiera, l’orfano e il principe. Con l’appoggio, ora, di un mago
capace e leale.» Un lampo di approvazione le illumina gli occhi e sento
il cuore riempirsi di orgoglio mentre si gira verso Elar. «La lealtà non è
misurata dai titoli e dalla ricchezza. Devo ricordarvi da dove vengo io
stessa?»
«Perdonatemi, non intendevo…» tenta re Elar.
«Dovreste essere orgoglioso di vostro figlio, ha scelto seguendo il
cuore. Sarà un grande re, un giorno. Approvo la sua scelta e i suoi compagni.»
Re Elar è così irritato che il suo volto ha cambiato colore e mi aspetto
che inizi a fumare dalle orecchie da un momento all’altro.
«Se questa è la volontà del consiglio…» capitola a denti stretti. «Ma
qualunque cosa accada, vi riterrò responsabili.» Indica me e Drewan.
Hale non ha collezionato abbastanza odio per essere additato come nemico
della corona.
«Che piacevole novità» ironizza Drew a mezza bocca. Gli tiro una
gomitata e abbasso la testa perché il re non veda il mio sorriso.

Poi, è come se il destino stesso volesse ripagare una perdita con un premio, se così può essere definita la compagnia di altri valorosi guerrieri con cui si stringe un legame che va oltre il cameratismo di un esercito e scava fino a infondere amore lì dove sembra non ci sia più speranza che ricresca. Quello tra Fendra, Drewan e il Principe William è un rapporto fatto di sguardi e sottintesi, una chimica che non ha bisogno di parole e che è fondamentale quando non c’è il tempo per discutere ma solo quello per agire. Sembra nulla di più che una strategia di battaglia, ma il convivere fa inevitabilmente nascere dei sentimenti, che fanno guardare i propri compagni sotto una luce differente: quella che caratterizza la propria famiglia, un legame che va al di là del sangue ma che s’instilla in coloro che condividono gioie e dolori e arrivano a scoprire tutto gli uni degli altri.

«Credo tu mi abbia appena procurato una nemica» dico.
«Non penso che lady Diana sia particolarmente pericolosa per te.»
«Stai scherzando? Hai visto le sue scarpe? Potrebbe uccidermi con
una di quelle.»
William ride. «Se ti fa così paura, vorrà dire che ti proteggerò io.»
Mi metto le mani sui fianchi. «Ti ricordo che adesso sono il tuo scudo
non solo la principessa da salvare.»
«Ogni tanto potresti farlo, però.»
«Che cosa?»
«Lasciarti salvare.»
Ci guardiamo per un istante e nei suoi occhi, come sempre, vedo la
tempesta. È difficile capire William. Gli hanno insegnato a mascherare le
emozioni, fin da piccolo, a mostrare solo quello che il popolo desidera:
forza, coraggio, onore. Ma chi davvero sia quel principe con gli occhi
d’oceano, cosa provi, nessuno lo sa.
«Tuo padre non si è ancora rassegnato?» cambio discorso.
«Come vedi, no. Continua a invitare a palazzo ragazze di ceto nobile,
in attesa che ne scelga una.»
«Molto in linea con i tuoi gusti.»
«Che ne sai dei miei gusti?»
«Qualcosa mi dice che le nobildonne vipere non fanno per te.»
William ride. «No, infatti. Preferisco quelle combattive.»
Incrocio le braccia. «Dovrebbe essere un complimento?»
«Tu non sei una donna…»
«No, sono un cavallo.»
«Posso finire? Non sei una donna combattiva, sei un tornado.»
«Stai peggiorando la situazione.»
William sbuffa, ma sorride. Uno di quei sorrisi che lady Diana non
vedrà mai.
«Quando ci siamo conosciuti, dieci anni fa, mi mettevi a disagio. Mi
avevano insegnato a comportarmi in modo pacato, non eccedere mai,
mostrarmi tranquillo anche quando avevo bisogno di sfogare la mia
energia. E poi sei arrivata tu. Sembravi un gatto impazzito, saltellavi
sempre qua e là, eri entusiasta, allegra, il contrario di quello che avevo
imparato. Avrei tanto voluto parlarti, ma non sapevo come comportarmi.
Poi l’hai fatto tu.»
«Me lo ricordo. Sembravi impagliato.» Rido. «Un piccolo principe già
allora.»
«Ho sempre ammirato la tua forza d’animo. Non sei coraggiosa perché
ti hanno insegnato ad esserlo, lo sei e basta. Fa parte di te.» Si ferma
e mi sfiora lievemente il viso. «Per me non sarai mai una persona come
le altre, sarai sempre la ragazzina dagli occhi luminosi che si è avvicinata
quel giorno e mi ha teso la mano.»
Non so quando ho iniziato a piangere e non m’importa. Abbraccio
William con delicatezza, come se potesse rompersi tra le mie braccia.
«Ti seguirei fino alla fine del mondo, se me lo chiedessi. Non importa
quello che dice tuo padre, non smetterò di combattere al tuo fianco.»
Rimaniamo così per un po’, incuranti delle persone che ci passano a
fianco e della possibilità di essere visti da qualcuno che non approverebbe.
Siamo sempre stati io, Will e Drew. Nascosti agli occhi di tutti, una
famiglia al di là del sangue.
Mi sbagliavo. C’è qualcuno che conosce davvero William. Noi.

Questa è una cura per il dolore, che non può essere totalmente sanato, ma in qualche modo indebolito, gettando affetto dove questo è scomparso. Forse, più che essere una strategia di battaglia, è una strategia di vita: circondarsi nonostante tutto di persone che possono comprendere e scacciare via gli incubi, donando la forza per passare oltre e non arrendersi a ogni sconfitta, ma anzi farne tesoro per il futuro. La pace a Primordia sembra ben lontana, così come nel cuore di Fendra in cui c’è un subbuglio continuo inimmaginabile, che le offre sì una corazza per proteggersi dall’esterno ma imprigiona pezzetti di sé che sono tanto belli quanto bella è l’indipendenza che la contraddistingue come individuo. Un’indipendenza che potrebbe essere elevata a qualcosa di migliore se solo lei trovasse lo stesso coraggio per sconfiggere i nemici per abbassare le barriere che farebbero delle vulnerabilità un vero punto di forza.

Parlare ulteriormente di Primordia potrebbe compromettere l’integrità della lettura. Questo è un libro che solo in apparenza può sembrare semplice e lineare, ma in cui ogni dualità di bene e male, forza e debolezza, dolore e gioia hanno un’importanza determinante per il giusto equilibrio degli elementi e delle tematiche affrontate. Un equilibrio necessario per gestire al meglio ogni scenario che si presenta in un modo logico e non scontato, che possa tenere alta l’attenzione del lettore, che stregato da tutte le dinamiche desidera mettere radici in questo mondo e affrontare tutto, dai pericoli ai momenti di speranza, seguendo le gesta di una protagonista tutta d’un pezzo che non perde mai di vista il proprio obiettivo: rendere la sua terra un posto migliore.

Blog Tour: “La casa di incubi e stelle” di Chiara Casalini

“La casa di incubi e stelle” è un libro in cui soffermarsi alle apparenze e alle prime impressioni è lo sbaglio più grande che si possa commettere. Tra le pagine c’è volgarità, sesso esplicito, brutalità irragionevoli, di cui è facile sottovalutarne la funzione, rimanendo ciechi ai reali intenti che stanno dietro alla creazione dell’opera.

Quella di Sonia e Simone è una storia cruda, fatta di violenze, ossessioni, sbagli e incubi. Sono due le strade che possono prendere: allontanarsi definitivamente l’uno dall’altra oppure vivere ciò che provano vicendevolmente, l’unica cosa che può davvero salvarli dall’oblio. Il loro contrasto fisico e mentale va di pari passo con quella particolare attrazione, che per quanto sbagliata sia li tiene in piedi e li fa rimanere lucidi, evitando errori irreparabili, molto più gravi di quelli attualmente in atto. Ciò che provano è inspiegabile e la mancanza di comunicazione li distrugge e allontana, fino alla volta successiva in cui saranno i loro corpi a pretendere un contatto sincero. Nonostante i fraintendimenti, le bugie, le colpe.

«Perché non poteva lasciarci almeno un angolo dove poter essere felici? Una finestra.»
«Ti sbagli» la correggo. «A lui piaceva vederti ridere, così lo ringraziavi.»
«Allora perché? Glielo avevo detto che mi piaceva e che venivo quando avevo degli incubi o non riuscivo a dormire. Ma l’ha tolta lo stesso!»
Scuoto la testa senza staccarmi da lei e con un sorriso dal sapore amaro.
«Aveva visto felice me e questo no, non gli piaceva.»
Sonia socchiude le palpebre e affila lo sguardo. Una gatta pronta ad attaccare un cane randagio, perché lo sa che questo cane glielo lascerà fare. Invece, si fionda sulla mia bocca. Ricambio stordito e lei si allontana.
«Allora devi essere felice» dichiara con una sicurezza assurda.
Come potrei mai esserlo?
Le sue mani scendono e si muovono agili nello sbottonare i jeans. Un brivido mi attraversa, quando con le dita mi sfiora il cazzo, che reagisce subito al suo richiamo. Si sposta ancora per abbassarsi, ma le afferro le spalle.
«No» le intimo, riportandola vicino a me.
«Perché?»
«Abbracciami.»
Le si forma una ruga tra gli occhi, mentre sbatte le palpebre un paio di volte. Tentenna, ma non posso ripetere, non ci riesco e forse lo intuisce. Mi stringe e affonda la faccia nell’incavo del collo, io nei suoi capelli. Da quanto non chiedevo un gesto tanto semplice? Non me lo ricordo, però è quello che voglio. Ora, che non so più nemmeno dire che le voglio bene, che ho bisogno di lei.
Cosa cazzo devo fare?
Scoprire cosa ha fatto. Sì. Dopo.
Parlare, non scopare. Dopo.
Respirare. Adesso.

Sono proprio le colpe, che tormentano come una lama nella ferita, ad aver scombinato tutto, fin dall’inizio. Colpe che si inseguono, tra giustificabile e ingiustificabile, passando da testa a testa, in un groviglio di nodi dolorosi che tirano per emergere contemporaneamente. Colpa di una debolezza, di una violenza, di una cieca paura del dolore, fino alla colpa del mancato coraggio, di quella forza per opporsi e mettere un punto fermo e definitivo alla situazione. 

Il sesto capitolo del libro di Chiara Casalini mette in risalto candidamente l’ossessione dei protagonisti, il voler fuggire dagli sbagli di chi è stato adulto prima di loro ma ricadendo nei ricordi crudeli di un’infanzia rovinata. Non è facile accettare ciò che c’è stato e “Perché?” è una domanda che infetta, contaminando la purezza di anime che vorrebbero soltanto vivere senza preoccupazioni così grandi che andrebbero semplicemente dimenticate.

La soluzione sembra ben lontana dal rivelarsi e per raggiungerla è necessario fare i conti ancora una volta con tutto ciò che c’è stato, per fare pace con sé stessi e arrivare a capire che non ci sono vere colpe nella loro identità e in ciò che sentono. Sono le colpe degli altri ad aver creato degli incubi nel tranquillo cielo puntinato di stelle che vorrebbe essere il loro legame.