Review Party: Recensione di “Il Priorato dell’Albero delle Arance” di Samantha Shannon

«  È nei momenti in cui la storia manca di far luce sulla verità che si generano i miti.   »
 
Ci fu un tempo in cui il terribile drago Senza Nome tentò di distruggere ogni cosa. La catastrofe venne scongiurata e la creatura imprigionata. Il tempo scorre e il suo ritorno in libertà sembra sempre più imminente, così come la venuta di coloro che dovranno riuscire nella pericolosa impresa ancora una volta.

Il Reginato di Inys sta vivendo una vera e propria crisi, dal momento che la principessa Sabran è senza consorte e soprattutto senza un erede per continuare a far vivere la casata di Berethnet. I nemici aumentano, ma c’è un paladino segreto a vegliare su di lei: Ead Duryan, adepta di una società segreta che sfrutta i suoi poteri per proteggere la futura Regina, anche se questa è proibita nell’intero regno.

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Review Party: Recensione di “Un piccolo odio” di Joe Abercrombie

« I cattivi sono una terribile maledizione, non c’è dubbio, finché non ti trovi in qualche brutto pasticcio e uno di loro è dalla tua parte. Allora sono la cosa migliore che ti possa capitare. »

Trent’anni dopo i fatti de La prima legge, il Nord e l’Unione sono ancora devastati dalla guerra e dalle barbarie, nonostante il progresso industriale stia prendendo sempre più piede per far rinascere in qualche modo la terra. Savine, figlia dell’Arcilettore, è pronta a invischiarsi negli affari più loschi, pur di diventare qualcuno in un mondo in cui una donna non è niente, soprattutto in confronto all’uomo. Leo dan Brock è pronto a diventare Governatore e pronto a eseguire il suo lavoro in maniera impeccabile, senza sapere che il tradimento è dietro a ogni ombra. Vick lotta per dare una dignità ai lavoratori, trattati come schiavi dai padroni. Questi e altri personaggi si troveranno ad incrociare il proprio destino per portare avanti gli scopi della vita e contribuire a quella rivoluzione che fatica tanto ad affermarsi.
“Un piccolo odio” rappresenta l’inizio di una nuova trilogia del maestro Abercrombie, che ancora una volta ha saputo conquistarmi con le sue ambientazioni suggestive e lo stile di scrittura studiatamente rozzo. Questo scrittore sa come adularmi, con battaglie all’ultimo sangue, divertimento e paesaggi magistralmente descritti. 
L’opera è sicuramente impegnativa dal punto di vista della lettura, in quanto ci troviamo ad affrontare la storia attraverso ben sette punti di vista differenti. Ma la forza della scrittura di Abercrombie è sempre stata nella profondità e nella realizzazione dei personaggi, che sono riconoscibili a colpo d’occhio sia nell’aspetto che nello spirito.
La negazione, il disgusto per se stessi, la mancanza di consapevolezza di sé: tutti quei sentimenti terribili, negativi e spaventosamente reali che tutti noi proviamo nei nostri momenti di insicurezza, si insinuano e distorcono la realtà. rielaborandola in un’ottica malsana. Ciò che sorprende in particolare è la speranza che i personaggi ottengano ciò che meritano e che si realizzino; anche un personaggio corrotto e moralmente fallito come Savine.
In questo libro vecchi e nuovi volti si mescolano in un processo di addio nei confronti di coloro che i lettori già conoscono per poi buttarsi totalmente nelle vicende delle nuove leve della storia. Vengono mostrati i problemi di una vita fatta di guerre, le torture, i rapporti sessuali e la stanchezza di vivere costantemente in allerta e tormentati dal pensiero che perfino un famigliare possa pugnalare letteralmente alle spalle.
Il lettore ama e odia, e poi ancora odia e ama ogni situazione rappresentata e ogni personaggio, perfetto in mezzo all’imperfezione.

Review Party: Recensione di “Il nome del vento” di Patrick Rothfuss

« Il suono che fece fu come un sogno che muore, e mi provocò lo stesso tremendo, ansante dolore al petto. »
 
All’interno della locanda della Pietra Miliare ha inizio una tra le più epiche delle avventure. Quella del prode Kvothe, conosciuto per le scorribande passate e leggendarie imprese, che ora si appresta a narrare soffermandosi con ordine su come si compone il suo passato e la sua fama.E così si delinea la figura di un grande arcanista, esperto consigliere, abile assassino… e molto, molto altro.

C’è un non so che di poetico ed evocativo nella prosa maniacalmente accurata di Patrick Rothfuss. Questa sua cura al dettaglio e alla continua ricerca della parola più appropriata hanno portato l’autore a diventare uno tra i più grandi del genere fantasy Sword and Sorcery.

Nelle Cronache dell’Assassino del Re non troverete solo epiche battaglie e azione sconfinata. Ma anche la tranquillità data dal silenzio, attimi di divertimento puro, tensione per la morte, speranza per la vita. Il mistero è una parte fondamentale del libro, che a cavallo tra passato e presente rivela gradualmente ciò che compone Kvothe e i suoi compagni di avventure, in una travolgente storia tremendamente interessante ad ogni capitolo.

I dettagli del mondo dati dalla costruzione di suggestivi luoghi, popoli, lingue e magia; l’unione di storia, chimica, religione, mito, musica e poesia. Tutto contribuisce ad un’ambientazione fantastica, credibile e soprattutto studiata.

“Il nome del vento” è una lettura imprescindibile per conoscere le origini del fantasy e per entrare in contatto con una scrittura che stupisce ogni volta come se fosse la prima. In essa è racchiuso tutto l’amore che Rothfuss prova per il suo lavoro, per il suo mondo e i suoi personaggi. Forse è anche per questo che il terzo capitolo della saga tarda così tanto ad arrivare.

Ma questo in un certo senso è positivo, perché tutti hanno così la possibilità di recuperare le meravigliosa nuova edizione stampata dalla Mondadori in tempo per saperne di più sul destino di Kvothe e di tutta la civiltà.

Review Party: Recensione di “Il fiore perduto dello sciamano di K.” di Davide Morosinotto

« Io invece mi sentivo incantato: quell’albero così semplice aveva dentro… Non so come dirlo. Una forza speciale. Era forte, gentile e buono. Una pianta a cui voler bene. »

Non è facile convivere col fatto di trovarsi ad indefiniti chilometri di distanza da casa. Laila è così che si sente, in Perù: diversa e incompresa, soprattutto obiettivamente malata. Ma nel reparto neurologico della clinica di Lima fa una conoscenza inaspettata, quella dell’esuberante El Rato. I due ragazzi iniziano a passare le giornate insieme, fino ad una sorprendente scoperta: un misterioso diario che riporta la figura di un fiore appartenente al popolo di K.. Probabilmente l’unica soluzione al problema che affligge Laila, entrambi si mettono sulle tracce del fantomatico fiore a cavallo tra le Ande e l’Amazzonia, in un coinvolgente viaggio che andrà oltre le loro aspettative.
Con uno stile coinvolgente e un ritmo serrato, Davide Morosinotto trasporta il lettore in una nuova incredibile avventura, scritta magistralmente e in grado di emozionare chiunque alla sola visione della copertina suggestiva.
Un elemento determinante è il particolare modo in cui le parole si susseguono tra le pagine, cambiando carattere, posizionandosi in diagonale, a volte scomparendo ma ogni volta stuzzicando la vista e facendo incuriosire e divertire.
I protagonisti di questa storia sono inevitabili per la buona riuscita dell’impresa: se non fosse per la loro energia, per la fantasia e la voglia di mettersi in gioco, il raro fiore di cui hanno solo visto un disegno non potrebbe essere altro che questo: una leggenda, probabilmente un’invenzione. Ma il rischio è alla base di tutte le avventure e gli animi di Laila e El Rato sanno far splendere il cammino anche dove c’è una grossa difficoltà, trasformando l’illusione in una vera speranza.
Realtà e magia si concatenano per creare l’evoluzione della vita. Morosinotto è stato in grado di trasmettere l’oppressione di un luogo chiuso e isolato e al tempo stesso il senso di libertà dato dal respirare a pieni polmoni all’aria aperta in mezzo alla natura e dalla visione dei colori variopinti e vivaci dati dalla terra peruviana.
Sono molto affezionata alle opere di questo autore, che da anni sa incantarmi con una delicatezza e intensità uniche nel loro genere e che lo rendono meritevole di essere conosciuto da più persone possibili.

Review Party: Recensione di “Lo sguardo lento delle cose mute” di Patrick Rothfuss

« Era l’unico modo. Non volere le cose per se stessi: serviva a rendere umili, a restare sani e salvi. Voleva dire potersi muovere nel mondo agevolmente, senza mandare tutto all’aria a ogni passo. E, se si stava attenti, se si aveva un proprio posto tra le cose, ci si poteva rendere utili. Riparare ciò che si era rotto. Occuparsi delle cose storte che si trovavano. Contando sul fatto che il mondo, in cambio, avrebbe offerto la possibilità di sfamarsi. Era l’unico modo per muoversi con grazia. Tutto il resto non era che orgoglio e vanità. »
 
Ambientato nello stesso mondo della trilogia de “Le Cronache dell’Assassino del Re”, “Lo sguardo lento delle cose mute” presenta un piccolo scorcio di storia dal punto di vista di Auri, amica dell’ormai leggendario Kvothe, in un arco narrativo di sette giorni che comprende l’esperienza tra gli intricati tunnel al di sotto dell’Università. Non sono altro che questo, per lei: giorni.

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