Review Party: Recensione di “Quando Helen verrà a prenderti” di Mary Downing Jacob

« Dall’espressione sul suo viso immaginavo che dentro di sé non sperasse altro che assistere a un’orribile scena di violenza domestica con grida e spargimento di sangue. »

La paura lega i cuori in un modo sempre totalmente inaspettato. 
Quando la loro madre decide di trasferirsi a Holwell, nella casa in cui abita il nuovo marito Dave, i figli Molly e Michael, sanno già quanto insensata sia questa scelta. La campagna sconfinata domina il paesaggio, circondando in un modo quasi soffocante la chiesa abbandonata al fianco della casa e il cimitero, poco lontano. Come se questo già non bastasse, l’elemento più inquietante si trova proprio all’interno della dimora: la figlia di Dave, Heather, si aggira silenziosa tra le stanze, alla ricerca di un guaio o un qualcosa di più terribile cui assistere. Quando la bambina inizia a minacciarli, sostenendo di essere in contatto con lo spirito della piccola Helen, l’atmosfera si raffredderà come la più gelata di tutto l’inverno.
“Quando Helen verrà a prenderti” è una storia dell’orrore dedicata ad un pubblico giovane, ma che riesce egregiamente ad intrattenere e inquietare anche i lettori più adulti. Il sovrannaturale mi terrorizza, perché non se ne capiscono le logiche e sembra che la vendetta e il tormento siano una costante per gli spiriti rimasti bloccati in un luogo fisico. Scavando più a fondo si esplorano storie oscure e terribili, spesso così ingiuste da non dover mai succedere.
Il libro di Mary Downing Jacob mi ha ricordato in parte gli elementi che contraddistinguono i racconti della collana “Piccoli Brividi” con una componente più seria e matura che l’avvicina di gran lunga a una trama del calibro di King, Barker o Lovecraft. Dimenticherete di star assistendo a vicende che anche i ragazzini possono leggere e verrete inglobati in una sfera di pura paura che coinvolge, intrattiene e si appiccica alla pelle, come il sudore freddo che corre lungo la schiena.

Review Party: Recensione di “Il treno di cristallo” di Nicola Lecca

« Immagina le formiche mangiare con ingordigia le briciole dei cuori strappati a morsi dai carnefici e si accorge di quanto potenti possano essere le parole. Incontrarsi col mondo comincia ad affascinarlo: e mai avrebbe pensato che sarebbe stato così imprevedibile. »
A volte, per crescere e conoscere sé stessi, è necessario allontanarsi dalle abitudini e dai luoghi del quotidiano.

Aaron si è affacciato all’età adulta ma ancora non conosce nulla al di fuori della gelateria Morelli in cui lavora a Broadstairs e della depressione che affligge da sempre la madre Anja, che si attacca a lui in modo morboso e ossessivo. Cerca di evadere come può, grazie alla compagnia del fidato collega Gennarino e all’amore a distanza condiviso con Crystal. Eppure, non esiste soddisfazione nella sua vita e il comportamento ambiguo della ragazza, che rifiuta categoricamente un vero incontro, non fa altro che frustrarlo ancora di più.

Il cambiamento gli giunge addosso come un fiume in piena, quando riceve una lettera da Zagabria con cui viene convocato per la lettura del testamento del padre appena defunto. Di lui, il ragazzo non sa nulla, men che meno che fosse vivo fino a poco prima. Facendosi coraggio e tenendo il tutto nascosto a sua madre, Aaron prende il treno che lo porterà verso un destino nuovo, lastricato di nuovi incontri, difficoltà e una visione del mondo fino a quel tempo sconosciuto.

Le storie di Nicola Lecca le riconosci da un unico comune denominatore: il viaggio evolutivo dei personaggi che crea. In questo, “Il treno di cristallo” ha la chiave proprio nel titolo e porta il lettore all’interno di vite apparentemente comuni che possono rendere la sua, di vita, straordinariamente più ricca rispetto che in precedenza. Aaron nel corso del suo percorso prende diversi treni fisici che lo accompagnano in luoghi affascinanti e suggestivi, in mezzo a persone dalla morale più disparata e incontro a decisioni che mai avrebbe pensato di dover prendere. Sono queste che lo conducono per mano su treni diversi da quelli di prima e che lo porteranno verso una nuova consapevolezza di sé stesso.

Durante questo viaggio avrete fame, non solo di conoscere cosa aspetterà Aaron al capolinea, ma anche di cibo e posti reali: rimarrete incantati dalle descrizioni delle architetture e non potrete fare a meno di deglutire, desiderosi dei piatti che magistralmente compaiono attraverso l’olfatto e il gusto. Darei oro, per un appetitoso cartoccio di fish and chips.

Nicola Lecca ha sempre la capacità di colpire il cuore di chi legge i suoi libri in un modo ogni volta diverso e sorprendente, perché tocca punti dell’animo che disorientano, portano alla riflessione e infine al coraggio di cambiare la propria direzione verso ciò che davvero può renderci migliori.
Il suo stile narrativo è coinvolgente e riesce sempre a lasciare col fiato sospeso, in tensione, fino all’ultima pagina.

Ogni suo romanzo richiede una cura minuziosa e “Il treno di cristallo” è l’ennesima prova che ogni attesa viene ben ripagata, con una lettura che scorre inesorabile e dura sempre troppo poco, indipendentemente dal numero di pagine. Questo perché della sua letteratura non se ne ha mai abbastanza e si desidera esplorare all’infinito le vite dei personaggi anche dopo l’epilogo, per accertarsi che tutto vada davvero bene, da dopo quel punto d’inchiostro su carta in avanti.

Come all’inizio della lettura l’ho accolto con un “bentornato”, ora è davvero arrivato il momento di congedarlo un’altra volta. Arrivederci, al prossimo libro.

INTERVISTA ALL’AUTORE

In questo evento, i blogger partecipanti hanno avuto la possibilità di fare alcune domande all’autore, che ringrazio per l’opportunità che ci ha concesso. Di seguito, quelle che ho posto personalmente.

Ogni libro che ha scritto è caratterizzato dai viaggi che lei stesso fa: quali sono gli elementi in merito che le comunicano la giusta ispirazione?
Sono un collezionista di città. Ne ho visitate circa 400. L’ispirazione necessita del tempo vuoto: quello che non esiste più. Perché, ormai, il tempo lo riempiamo: terrorizzati come siamo dall’affrontarlo. Dallo specchiarci in esso. Io il tempo vuoto, invece, lo coltivo e lo nutro. Nasce così l’ispirazione che produce frutti eterni e riesce a curare menti e cuori.
Racconto il mondo. Porto i lettori lontano da sé e li apro al mondo. Per far questo devo viaggiare, ma soprattutto osservare, catalogare, scegliere….
I processi di gestazione e scrittura di tutte le sue opere richiedono sempre diversi anni prima di vedere la pubblicazione: cosa porta a periodi così lunghi di concentrazione su una singola storia?
Come tutti i miei precedenti romanzi anche “Il treno di cristallo” è un’opera di sartoria. Ogni dettaglio, ogni personaggio, ogni parola sono stati pazientemente vagliati con una precisione da orologiai per creare una scrittura ipnotica capace di trasportare il lettore lontano da sé e condurlo in mondi nuovi attraverso nuovi modi di pensare.  Una volta uno scrittore che stimo, riferendosi ai miei libri, mi ha detto: “Tu mi piaci perché cambi il mio immaginario.” Ecco: non rinuncerei mai a fare del mio meglio per cedere alla tentazione della fretta…

Review Party: Recensione di “Come neve che cade” di Kristin Hannah

« Ma Vera sa bene che certe promesse non hanno senso: è inutile sia pretenderle che sentirsele rivolgere. E, quando si volta verso sua madre, quella verità è nei loro sguardi. »

Quali profondi segreti possono annidarsi nel passato di una qualsiasi famiglia? Si può davvero comprendere la sofferenza dietro a ogni più difficile decisione?
La famiglia Whitson è caratterizzata dal delicato quanto complesso rapporto tra le donne di casa, alle prese con il dramma del lutto: la madre Anya non è mai riuscita ad avere un reale legame con le figlie Meredith e Nina e con il sopraggiungere dell’età adulta i rapporti si sono sfaldati sempre di più. Ora Meredith dirige l’impresa di famiglia a Washington e Nina gira il mondo, ovunque la notizia la porti. Due sorelle opposte, ma accomunate dal desiderio di attenzione nei confronti della madre.
Ma Anja si è chiusa nel suo dolore e nell’amore per Evan che non può lasciar andare. L’attaccamento ai sentimenti e ai ricordi le fa perdere di vista il presente, in cui le figlie hanno un ruolo marginale nella sua vita. Getta tutto all’interno di una fiaba, quella della contadina Vera e del Cavaliere, in cui sfoga il desiderio di sentirsi di nuovo appartenente a qualcosa. Perché nel suo passato è nascosto qualcosa che le dà il tomento e per cui al tempo stesso vorrebbe chiedere perdono.
Può l’amore risolvere le difficoltà che bloccano la mente?
Con il suo inconfondibile stile, Kristin Hannah torna nelle librerie italiane con una storia incredibilmente ricca di particolari, che si incastrano alla perfezione tra loro fino a creare un quadro realistico e carico di emozioni. Non è un compito facile, quello di esplorare in vicende drammatiche per poter ricostruire le origini di un individuo e collocarlo nella sua vita presente. Al tempo stesso non è difficile comprendere la delusione e la rabbia negli occhi di chi vive attorno a quello stesso individuo ed è comprensibile il desiderio di allontanarsi, nonostante la forza delle proprie radici si fa sentire costantemente. La metafora della fiaba è perfetta per veicolare in un tono poetico gli orrori di un’infanzia da dimenticare e il desiderio di riscatto e perdono che ha origine dall’amore per la propria famiglia. 
“Come neve che cade” è un romanzo emotivamente travolgente e sorprendentemente interessante da esplorare per l’originalità della struttura narrativa e per i colpi di scena che, nonostante si presentino delicatamente al lettore, fanno male allo stomaco e lasciano senza fiato.

Review Party: Recensione di “La piccola farmacia letteraria” di Elena Molini

« Ebbi per la prima volta, dopo tanto tempo, la sensazione che le cose sarebbero andate per il verso giusto. Avevo bisogno di sperare che fosse così. »

Blu ha un obiettivo nella sua vita: far diventare la propria passione per i libri un vero e proprio lavoro. I tentativi sono già stati innumerevoli, ma nessuno soddisfacente abbastanza per le sue ambizioni. Così, nasce la Piccola Farmacia Letteraria, un luogo caldo e accogliente di sua invenzione in cui la donna può diffondere la letteratura attraverso le storie che si trasformano, per i clienti, in veri e propri toccasana per l’animo.
Avete presente quando un libro parla al vostro io interiore fin dalla prima pagina? Ma che dico dalla prima pagina, soltanto dalla copertina?
Ecco, “La piccola farmacia letteraria” mi ha toccato profondamente dal primo istante in cui l’ho visto. Perché in fondo tutti coloro che hanno questa incredibile passione che è la lettura hanno lo stesso identico sogno della protagonista: poter avere la possibilità di vivere ogni giorno per quel mondo che tanto amiamo. A me in particolare, questa storia ha fatto piangere, perché mi ricorda gli obiettivi dell’adolescenza, i sogni post diploma annebbiati dall’università e infine i fallimenti che ancora adesso mi trascino appresso. Vedere che c’è chi ce l’ha fatta mi fa commuovere oltremodo.
Non è una recensione obiettiva, me ne rendo conto, ma di fronte a questo libro non riesco proprio ad esserlo.
I desideri di Blu sono i miei stessi desideri, che sempre più intensamente bussano alla mia mente e che si scontrano con le difficoltà che mi sembrano sempre così tanto insormontabili da superare. Questo libro mi fa piangere perché è esattamente ciò che vorrei per la mia vita.
Con uno stile semplice, scorrevole, ma che sa comunicare a tutti, Elena Molini ha raccontato quella che di fatto è la sua storia e di quella piccola Farmacia che esiste davvero e ha il suo cuore nella meravigliosa Firenze. Devo assolutamente tornarci, per poterla conoscere di persona e ringraziarla per tutto: per le lacrime, per la gioia, per l’ispirazione a continuare a lottare per il mio personale sogno.
Chissà se un giorno anche questa piccola tana potrà davvero essere un luogo fisico aperto a tutti coloro che desiderano entrarvi. Per quattro chiacchiere, un libro letto comodamente in poltrona, un aromatico té a profumare gradevolmente l’ambiente.

Review Party: Recensione di “La bambina e il nazista” di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli

« Ho sentito la speranza di una rinascita, quando si parlava di Sangue e Terra. Quando si diceva che saremmo risorti nella ricchezza dei nostri campi e della natura selvaggia, nella purezza dei nostri sogni e del nostro sangue che fa di noi la razza più forte, degna di guidare le altre.» S’interruppe per un istante, fissando nel vuoto, poi scosse la testa. «Tutto questo, Hans, non ha niente a che vedere coi sogni. Quello che c’è in quei rapporti ha a che vedere solo con gli incubi. »

Hans è un ufficiale delle SS, eppure non ha mai condiviso la minacciosa ideologia portata avanti con violenza da Hitler. Il suo desiderio è quello di avere una vita tranquilla, al fianco della moglie e della figlia Hanne, soffocando qualsiasi istinto di ribellione e piuttosto voltandosi dall’altra parte, pur di non avere problemi di accuse di tradimento.
Ma quando l’uomo riceve l’ordine di trasferirsi al campo di concentramento di Sobibór, la sofferenza che vede laggiù è insopportabile, così come le ingiustizie attuate nei confronti dei prigionieri. La conoscenza di Leah, bambina ebrea che le ricorda la sua piccola Hanne, lo porterà a rimettere in discussione tutto e a trovare finalmente il coraggio per agire come avrebbe da sempre voluto fare.
“La bambina e il nazista” è un libro che fa paura. Non solo per i contenuti, pieni di orrori che solo dal titolo si possono intuire, ma per ogni azione che i protagonisti devono compiere, per le conseguenze sempre in agguato, per un epilogo che sembra nero come il cielo coperto dai fumi delle bombe.
È angosciante addentrarsi nella storia e il solo scorrere delle pagine incute un’intensa agitazione, che tormenta e tortura in modo crudele. Eppure, non se ne può fare a meno. Perché dietro l’odio mostrato c’è sempre uno spiraglio d’amore e il lettore va alla ricerca proprio di quello, della speranza anche nella situazione più buia.
Romanzi come questo sono sempre quelli che pungono una parte della mia emotività che non può essere toccata se non da vicende reali immerse nei periodi più tragici della storia dell’umanità. È quasi un fastidio nascosto, ma che in realtà maschera lo sdegno e la mia incapacità di accettare che certe cose siano davvero state perpetrate in passato. Non voglio pensarci, non per far finta di niente, ma perché soffermarsi è semplicemente troppo doloroso. Al tempo stesso è così necessario amare e diffondere certe opere, perché ben presto saranno l’unica testimonianza che rimane di milioni di vite spazzate via in un istante.
Con un tono incredibilmente delicato, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli sono stati in grado di descrivere un dramma tristemente noto senza dimenticare un messaggio d’amore, che diventa il simbolo dell’intera lettura. Ho concluso il libro commossa e con lacrime vere agli occhi, ne ero consapevole già a monte, ma felice di essermi arricchita interiormente grazie a due personaggi straordinari come Hans e Leah.