Spesso vedo il silenzio come un momento speciale da dedicare soltanto a me stessa.
Ultimamente, però, mi sono resa conto di quanto inquietante possa essere, da un altro lato, non parlare.
Chi è vittima di una molestia, spesso poi non ne vuole parlare. Perché se ne vergogna, perché se non tira fuori l’accaduto è come se non fosse successo a lei. Come può, in fondo, essere successo proprio a lei?
Il silenzio, in questo caso, non perdona. L’insicurezza, trascina verso un baratro che può trasformarsi in tragedia. Non si crede di poter contare sugli altri, perché loro giudicherebbero e basta.
Di esempi da citare ce ne sono innumerevoli, tanti quanti i tipi di soprusi che un essere umano, purtroppo, può subire. Non esistono solo le percosse, anche le parole e la gestualità possono essere taglienti come lame nella carne.
Il film “Big Eyes” è ispirato ad una storia vera, quella della pittrice Margaret Keane. I suoi quadri sono stati attribuiti per molti anni al marito Walter, che sfruttava il talento della moglie per i soldi e la popolarità. La pressione psicologica a cui Margaret è sottoposta le fanno credere per diverso tempo che sia giusto così, l’importante era guadagnarci economicamente. Ma pian piano si sente privata della sua stessa identità, derubata delle sue opere come se le fossero sottratti dei figli. La lotta per il riconoscimento dei suoi dipinti è lunga ed estenuante, Margaret trova in sé il coraggio che serviva per uscire allo scoperto, fuori dall’ombra di un uomo che ha sfruttato i suoi sentimenti per scopi personali ed egoistici.
Anche i consigli letterari che vi lascio mostrano la violenza da un punto di vista differente. Un punto di vista in cui comunque il silenzio serve a comprendere quanto sia importante non tacere.
“Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini:
A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa di Herat, dove il padre non la porterà mai perché lei è una harami, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione.
Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashto e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra.
Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall’intreccio di due destini, una storia indimenticabile che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.
“Vitamin” di Keiko Suenobu:
Quando hai bisogno di vitamine, significa che ti manca qualcosa. Quello che manca nella vita di Sawako è… praticamente tutto! L’istituto dove studia è un posto da evitare: gli insegnanti sono severissimi e gli studenti infidi come serpi. Il suo ragazzo è meglio perderlo che trovarlo. Ma la nostra protagonista non sembra rendersene conto, per lo meno finché non diventa il bersaglio preferito dei feroci scherzi perpetrati dai compagni di classe! Tra umiliazioni, soprusi e parecchi rospi ingoiati, riuscirà Sawako a trovare la vitamina giusta che le darà la carica per prendersi la sua rivincita?
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