La giornata di sabato 22 luglio 1262 viene marchiata a fuoco nella storia e nella mente di Ottone Visconti, l’unico uomo destinato a rendere la sua casata grande, sia agli occhi del popolo che a quelli di Dio. Ora, arcivescovo novello, può godere di tutti quei privilegi che ha sempre anelato da lontano, sul lastricato cammino che l’ha portato alla realizzazione di questo progetto, il più maestoso della sua vita.
Eppure, non è troppo il tempo che gli rimane per indugiare, quando si rende conto di chi bussa alla sua porta: la famiglia della Torre, pronta a mettere a ferro e fuoco la città di Milano pur di rivendicare la carica, nonostante la celebrazione sia stata già compiuta. Vinta una battaglia ne comincia un’altra, quella per tenersi stretta la propria casa, al fianco di coloro che non vogliono altro che la rovina dei nemici guelfi.
Leggere questo romanzo ha per me un significato davvero molto importante: veder crescere la scrittura di Livio Gambarini dalle origini a oggi è stato un viaggio non solo dentro a storie meravigliose che mi rimarranno sempre nel cuore, ma anche nella vita di una persona che ha portato avanti un grande sogno con impegno, dedizione e sacrifici, che ora fanno emergere alla luce i brillanti frutti. Ogni editore che ha voluto pubblicare i suoi romanzi in passato ha fatto sì che ora lui possa far parte di una scuderia grande come quella di Piemme, un traguardo assolutamente meritato e che è il simbolo certo di un nuovo inizio.
Al fianco di Alex Calvi, Livio Gambarini trasporta i lettori indietro nei secoli, con un racconto storico, appassionante oltre le aspettative, che indaga sulla figura di Ottone Visconti e sulle origini della città di Milano per come la conosciamo. Con uno studio meticoloso di fatti e personaggi, si entra in contatto con una realtà tangibile e così ben descritta da avere la percezione di essere proprio lì, al fianco del protagonista, osservando ogni gesto e ogni emozione provata come se queste potessero estendersi fino a coinvolgere completamente lo spettatore.
La cura con cui i pensieri di Ottone vengono trattati ne stila un profilo non solo verosimile ma anche incredibilmente umano, rompendo quel confine invisibile ma esistente che separa il presente dal passato, come se niente fosse raggiungibile e come se tutto fosse condannato a rimanere lontano, relegato nell’epoca in cui i fatti si sono compiuti. D’altronde è proprio questo il fascino dei romanzi storici: poter toccare con mano ciò che è esistito e ci permette ora di vivere quello che viviamo.
La figura di Ottone assume sempre più fascino man mano che la trama prende piede: le scoperte che si fanno sul suo conto capitolo dopo capitolo vanno a completare un quadro che è il degno riflesso dell’uomo che lui è davvero stato, mostrando non solo la luce ma anche le ombre. Il pubblico si mescola al privato, andando a ricercare le origini e gli eventi che, seppur romanzati, è plausibile lui possa aver attraversato. È così che si ha accesso a elementi come il tradimento, l’amore e ogni genere di intrigo, che vediamo descritti attraverso il punto di vista di un Ottone accolito, nel pieno della giovinezza, quando ancora il suo destino era ben lontano dal compiersi.
Sullo stile di scrittura utilizzato non c’è nulla da dire se non che è perfetto per il tipo di storia messa su carta. Le parole scelte, la sintassi e uno specifico lessico fanno sì che ci si senta totalmente immersi in un’opera che in apparenza potrebbe sembrare necessariamente lenta, come da stereotipo, ma che risulta fin da subito scorrevole e interessante, grazie ai tasselli che man mano si uniscono fino all’epilogo che non mancherà di soddisfare anche l’appassionato più esigente.
“Ottone. Il primo dei Visconti” esorta a seguire un’ambizione come se fosse propria, in nome di uno stendardo che ha reso grande non solo un uomo ma un’intera città, elevandosi a simbolo di coraggio e animo eroico.