Tornare a Fairy Oak è stata un’esperienza di pura magia. Per convincervi di quale avventura vi state perdendo, e che dovete assolutamente recuperare, vi lascio di seguito qualche estratto a me molto caro, che troverete all’interno del libro e che sono certa vi conquisterà all’istante.
Lasciatevi cullare dalle parole di Elisabetta Gnone, che come una fata cantastorie, tesse abilmente i capitoli, disponendo alla perfezione le parole una dopo l’altra.
Non temete: sono estratti privi di spoiler sulla storia contenuta.
I passi sparsi che s’inoltrano nel giardino, i grandi alberi che lo ombreggiano, i cespugli di rosa lungo il muro di pietra che lo circonda, lo specchio d’acqua con i pesci, la grande serra addossata alla casa, i romantici arbusti di ortensie… Poco o nulla è cambiato. Neppure dentro.
L’atmosfera è carica di emozione e malinconia, nel tornare in quei luoghi che hanno reso tanto speciale parte della mia infanzia. Cullata da una voce ancestrale, sono tornata indietro con gli anni, fino alla nuova avventura di Vaniglia e Pervinca.
“Provo solo a mettermi nei loro giovani panni e penso che, se quei morti non li hai mai conosciuti, se sono vissuti secoli prima che tu nascessi, in un mondo che non riesci neanche a immaginare e le loro fotografie sui tuoi libri sbiadiscono in un crepuscolare quanto mai depressivo color seppia… Insomma, non è facile, non è facile” Tagliò corto la Flumini, riconsegnando il registro al professore, seduto davanti a lei. Poi, giunte le mani in una solida stretta e assunto un atteggiamento ottimistico: “Trovi il modo per farli appassionare alla Storia, eh? Faccia rivivere i morti!” esclamò con un sorriso radioso, che invitava alla gioia e alla perseveranza.
Un enigma si fa strada tra i banchi di scuola, verso le origini di Fairy Oak stessa. Alla ricerca di antichi antenati e una misteriosa balena di cui non si ha memoria.
Gironzolare fra le tombe era divertente, perché ci faceva un po’ paura e, al contempo, sapevamo che era un luogo più che sicuro.
Ci era stato insegnato a portare rispetto, perciò non correvamo lungo i sentieri, facevamo attenzione a non calpestare i fiori, a non urtare i lumi, parlavamo a voce bassa e rimandavamo a dopo eventuali discussioni. Eravamo consapevoli che ciascuna di quelle lapidi rappresentasse una vita, una storia, e, spesso, era la storia di una persona nota.
“Ciao, nonni” salutava qualcuno. “Ciao, zia, ciao, zio” salutavano gli altri. In quei giorni di prodigiosi incroci di rami genealogici, antenati che fino ad allora si credevano solo propri stavano diventando antenati anche di altri, così davanti a una tomba spesso si ritrovavano amici o conoscenti alquanto sorpresi.
Poi c’erano “Gli Eterni”. Si chiamavano così i marinai scomparsi in mare. Le bare rimaste vuote erano ospitate in un angolino assolato del Cimitero, soprannominato “La Prua”, perché si sporgeva sopra alla baia.
[…]
Anno dopo anno, le loro storie erano diventate leggende, e poiché non avevano una data di morte, perché i morti non s’erano mai visti, erano “gli Eterni”.
Senza perdere quel tocco magico e confidenziale, si viene immersi in una storia che ha il profumo di casa e un inaspettato mistero che intrattiene i lettori di tutte le età, che ancora una volta al fianco delle Gemelle intraprenderà un’avventura indimenticabile, che rimane nel cuore esattamente come le precedenti.