Review Party: Recensione di “Fuga di morte” di Sheng Keyi

« In quel momento videro degli uomini che si tenevano sottobraccio allineati in un fronte compatto che avanzava come un bulldozer, gettando urla brevi ed energiche a intervalli regolari. Una decina di metri dietro, un altro fronte di uomini procedeva nello stesso identico modo. Quando ebbero spazzato via tutti, la strada divenne deserta, baciata dal sole placido del pomeriggio. In lontananza, il cielo sconfinato. »

Tutto ha inizio con una montagna di escrementi. Non in senso metaforico, come spesso capita, ma del tutto letterale. Questo è un atto osceno per Beiping e lo Stato di Dayang tutto, che da quel momento si troverà a dover contrastare le proteste e i movimenti capitanati dagli intellettuali e i poeti, volti a non piegare la testa di fronte ad un governo ingiusto e irrispettoso, volto solo al profitto e dimenticandosi dell’umanità.
Il poeta Yuan Mengliu non vede motivo di immischiarsi nel fervore generale, nonostante venga trascinato dagli amici e dalla fidanzata Qi Zi che da quel momento hanno un solo scopo: fare una rivoluzione. Quando però la donna scompare dalla sua vita, per Yuan ha inizio un viaggio impegnativo, soprattutto per la sua formazione, che lo porterà fino alla Valle dei Cigni: città dove tutto è perfetto, in modo esageratamente inquietante, in cui i problemi non esistono e la robotica ha avuto un’evoluzione esponenziale. Davvero è possibile vivere in un mondo fatto così?
“Fuga di Morte” è la storia di un profondo contrasto emotivo, dato dall’essere in mezzo a due fuochi e quindi in un’eterna indecisione tra cosa si dovrebbe e cosa si vorrebbe fare davvero. Ci troviamo di fronte ad un protagonista controverso: egoista, depresso, il più delle volte antipatico e insensibile, tanto da non sentire sua la causa dei suoi concittadini. Al tempo stesso, Yuan dà un’importanza spropositata all’amore in ogni sua forma: essere poeta lo fa sentire vivo e libero di potersi esprimere al suo meglio.
Il suo personaggio è in contrapposizione alla figura di Qi Zi, una sorta di suffragette contemporanea che porta avanti con intaccabile determinazione un ideale nobile, nonostante sia arduo da raggiungere.
Sheng Keyi fa trasparire attraverso la sua storia d’invenzione le ingiustizie protratte durante le rivolte di piazza Tienanmen nella Cina del 1989, un fatto storico significativo per la nazione ma non sempre ricordato, soprattutto all’esterno.
La letteratura cinese fa ancora molta fatica a sbancare, rispetto a quella di altri stati e devo dire che questa scrittrice merita di essere conosciuta, per il tono graffiante utilizzato come monito e per lo studio e l’impegno impiegato nella scrittura. 
“Fuga di morte” è una lettura appassionante, intensa e insolita, che può ricordare pietre miliari della letteratura come “1984” di Orwell offrendo però spunti di riflessione moderni. L’ho amato dalla prima all’ultima pagina, soprattutto per la svolta distopica che mai mi sarei aspettata e che rispecchia perfettamente ciò che ormai per noi è storia realmente accaduta. 
Ha in sé un vero insegnamento: portare avanti con forza e coraggio un ideale e perseguirlo anche nelle situazioni più drammatiche.

Review Party: Recensione di “Il nome del vento” di Patrick Rothfuss

« Il suono che fece fu come un sogno che muore, e mi provocò lo stesso tremendo, ansante dolore al petto. »
 
All’interno della locanda della Pietra Miliare ha inizio una tra le più epiche delle avventure. Quella del prode Kvothe, conosciuto per le scorribande passate e leggendarie imprese, che ora si appresta a narrare soffermandosi con ordine su come si compone il suo passato e la sua fama.E così si delinea la figura di un grande arcanista, esperto consigliere, abile assassino… e molto, molto altro.

C’è un non so che di poetico ed evocativo nella prosa maniacalmente accurata di Patrick Rothfuss. Questa sua cura al dettaglio e alla continua ricerca della parola più appropriata hanno portato l’autore a diventare uno tra i più grandi del genere fantasy Sword and Sorcery.

Nelle Cronache dell’Assassino del Re non troverete solo epiche battaglie e azione sconfinata. Ma anche la tranquillità data dal silenzio, attimi di divertimento puro, tensione per la morte, speranza per la vita. Il mistero è una parte fondamentale del libro, che a cavallo tra passato e presente rivela gradualmente ciò che compone Kvothe e i suoi compagni di avventure, in una travolgente storia tremendamente interessante ad ogni capitolo.

I dettagli del mondo dati dalla costruzione di suggestivi luoghi, popoli, lingue e magia; l’unione di storia, chimica, religione, mito, musica e poesia. Tutto contribuisce ad un’ambientazione fantastica, credibile e soprattutto studiata.

“Il nome del vento” è una lettura imprescindibile per conoscere le origini del fantasy e per entrare in contatto con una scrittura che stupisce ogni volta come se fosse la prima. In essa è racchiuso tutto l’amore che Rothfuss prova per il suo lavoro, per il suo mondo e i suoi personaggi. Forse è anche per questo che il terzo capitolo della saga tarda così tanto ad arrivare.

Ma questo in un certo senso è positivo, perché tutti hanno così la possibilità di recuperare le meravigliosa nuova edizione stampata dalla Mondadori in tempo per saperne di più sul destino di Kvothe e di tutta la civiltà.

Review Party: Recensione di “Le disavventure di Amos Barton” di George Eliot

« Quelli erano tempi in cui un uomo poteva mantenere tre piccoli benefici, affamare due curati con due di essi, e vivere stentatamente egli stesso del terzo.  »

Al confine con Milby, il piccolo paesino di Shepperton si regge fondamentalmente attorno alla propria chiesa, punto di ritrovo di tutti coloro che vivono lì da sempre. Qui, il Reverendo Amos Barton ne è la nuova guida spirituale, ligio al dovere di diffondere i dettami della chiesa Anglicana. Amos cerca di vivere ogni giorno in un clima di tranquillità, nonostante le condizioni economiche non proprio favorevoli e alle difficoltà che questo comporta, soprattutto quando bisogna far fronte ai bisogni della numerosa famiglia. Tutto inizia a precipitare quando, ovviamente senza malizia, decide di ospitare in casa propria la Contessa Czerlaski.
Con uno stile preciso e pulito e una narrazione a tratti drammaticamente ironica, l’autrice Mary Anne (sotto pseudonimo) presenta una breve storia di vita quotidiana che approfondisce la vita rurale di un piccolo paesino di provincia, animato per lo più da piccoli scandali che sanno far parlare di sé alimentando e ingigantendo la situazione più di quanto in verità non sia.
Le similitudini con altre famose famiglie di opere appartenenti sempre all’epoca vittoriana sono evidenti, ma nonostante questo Eliot riesce a mantenere dei suoi personaggi una freschezza e un’originalità incredibili, che rendono la sua Shepperton realistica e unica. Il protagonista, Amos Barton, è un uomo sorprendentemente ordinario che si ritrova invischiato in situazioni più grandi di lui senza però volerlo davvero. L’abilità vera dell’autrice sta nella capacità di far trasparire i problemi oltre la vista dei personaggi, facendo sinceramente interessare e preoccupare il lettore della situazione della famiglia Barton. Il suo realismo ordinario è il vero punto di forza delle sue opere: riuscire a far scaturire la curiosità attraverso una comune giornata, apparentemente uguale alle altre.
CHI È MILLY BARTON

Uno dei personaggi ricorrenti nel libro è sicuramente la figura di Milly Barton, la consorte del Reverendo Amos Barton. Nonostante da parte dell’uomo non spicchi amore o affetto, Mrs Barton gli è totalmente devota e trascorre le giornate come la perfetta donna di casa, pensando alle specifiche faccende e al sostentamento di ben sei figli.
Non ha interessi particolari, se non una predilezione per gli abiti e i tessuti pregiati, con cui si diletta amatorialmente nella carriera di sarta provetta.
L’incontro con la Contessa Czerlaski rappresenta anche per lei un punto di svolta, necessario per evadere dalla monotonia e per poter godere un minimo del piacere di avere conversazioni “femminili” con un’altra donna. Per questo, Milly sente una genuina amicizia nei confronti della Contessa, che invece si rivela una donna spietata e opportunista, capace di piegare ogni situazione al proprio volere e trasformando in servi tutti coloro che le ruotano attorno.
Mrs Barton è ingenua e pura, forse più di Mr Barton, che infonde nel lettore tristezza e pena nei suoi confronti, soprattutto per come le cose finiranno per lei. Eppure, cerca di vivere al meglio delle sue possibilità, cercando di vedere il buono in tutto, sia nelle persone che nelle oggettive difficoltà.
A lungo andare, il suo essere una donna come altre le fa acquisire un certo spessore, che la rende agli occhi del lettore un personaggio che non si può dimenticare anche dopo la lettura.

Review Party: Recensione di “Il fiore perduto dello sciamano di K.” di Davide Morosinotto

« Io invece mi sentivo incantato: quell’albero così semplice aveva dentro… Non so come dirlo. Una forza speciale. Era forte, gentile e buono. Una pianta a cui voler bene. »

Non è facile convivere col fatto di trovarsi ad indefiniti chilometri di distanza da casa. Laila è così che si sente, in Perù: diversa e incompresa, soprattutto obiettivamente malata. Ma nel reparto neurologico della clinica di Lima fa una conoscenza inaspettata, quella dell’esuberante El Rato. I due ragazzi iniziano a passare le giornate insieme, fino ad una sorprendente scoperta: un misterioso diario che riporta la figura di un fiore appartenente al popolo di K.. Probabilmente l’unica soluzione al problema che affligge Laila, entrambi si mettono sulle tracce del fantomatico fiore a cavallo tra le Ande e l’Amazzonia, in un coinvolgente viaggio che andrà oltre le loro aspettative.
Con uno stile coinvolgente e un ritmo serrato, Davide Morosinotto trasporta il lettore in una nuova incredibile avventura, scritta magistralmente e in grado di emozionare chiunque alla sola visione della copertina suggestiva.
Un elemento determinante è il particolare modo in cui le parole si susseguono tra le pagine, cambiando carattere, posizionandosi in diagonale, a volte scomparendo ma ogni volta stuzzicando la vista e facendo incuriosire e divertire.
I protagonisti di questa storia sono inevitabili per la buona riuscita dell’impresa: se non fosse per la loro energia, per la fantasia e la voglia di mettersi in gioco, il raro fiore di cui hanno solo visto un disegno non potrebbe essere altro che questo: una leggenda, probabilmente un’invenzione. Ma il rischio è alla base di tutte le avventure e gli animi di Laila e El Rato sanno far splendere il cammino anche dove c’è una grossa difficoltà, trasformando l’illusione in una vera speranza.
Realtà e magia si concatenano per creare l’evoluzione della vita. Morosinotto è stato in grado di trasmettere l’oppressione di un luogo chiuso e isolato e al tempo stesso il senso di libertà dato dal respirare a pieni polmoni all’aria aperta in mezzo alla natura e dalla visione dei colori variopinti e vivaci dati dalla terra peruviana.
Sono molto affezionata alle opere di questo autore, che da anni sa incantarmi con una delicatezza e intensità uniche nel loro genere e che lo rendono meritevole di essere conosciuto da più persone possibili.

Review Party: Recensione di “Lo sguardo lento delle cose mute” di Patrick Rothfuss

« Era l’unico modo. Non volere le cose per se stessi: serviva a rendere umili, a restare sani e salvi. Voleva dire potersi muovere nel mondo agevolmente, senza mandare tutto all’aria a ogni passo. E, se si stava attenti, se si aveva un proprio posto tra le cose, ci si poteva rendere utili. Riparare ciò che si era rotto. Occuparsi delle cose storte che si trovavano. Contando sul fatto che il mondo, in cambio, avrebbe offerto la possibilità di sfamarsi. Era l’unico modo per muoversi con grazia. Tutto il resto non era che orgoglio e vanità. »
 
Ambientato nello stesso mondo della trilogia de “Le Cronache dell’Assassino del Re”, “Lo sguardo lento delle cose mute” presenta un piccolo scorcio di storia dal punto di vista di Auri, amica dell’ormai leggendario Kvothe, in un arco narrativo di sette giorni che comprende l’esperienza tra gli intricati tunnel al di sotto dell’Università. Non sono altro che questo, per lei: giorni.

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